IL CAIRO - La fotografa Giorgia Fiorio, dopo esperienze simili in altri celebri complessi museali, sta attirando l'attenzione con il suo progetto "Humanum" fino al 30 aprile al Museo egizio del Cairo a piazza Tahrir.
L'esposizione, inaugurata una settimana fa, è costituita da tre capolavori della collezione del Tahrir accompagnati dalle foto realizzate da Fiorio con l'intenzione, come ha scritto lei stessa in una presentazione, "di svelare la percezione di una figura unica e differente per ciascun osservatore che contempla la statua". Insomma "svelare la metamorfosi dell'apparizione scultorea nella variazione della luce". Si tratta di "insiemi polittici" di diverse immagini, in tutto 36, ha precisato la fotografa all'ANSA.
I pezzi esposti, ciascuno "presente alla tua presenza" ("Present in your presence", come si intitola l'esposizione) sono tre teste tra cui una incompiuta di Nefertiti e una, in quarzite, di un'altra regina egizia: si tratta di reperti datati fra circa 3.300 e oltre 4.000 anni fa. Fiorio, nella presentazione, evidenzia che le sue inquadrature "portano alla luce la presenza di quel 'c'è' che la nostra visione contiene".
Il progetto Humanum fu avviato nel 2010 e Fiorio ricorda di aver già collaborato in questo ambito con l'Università Ca' Foscari di Venezia, la Scuola Superiore Sant'Anna Pisa, il Museo dell'Acropoli di Atene, il Louvre di Parigi, l'Iraq Museum di Baghdad, il Kunsthistorisches di Vienna e altre istituzioni fra l'altro a Riad, Amman e ancora nella capitale francese.
"Il lavoro fotografico di Giorgia Fiorio, ore e ore tra macchina fotografica e luci, è 'archeologia' che svela le superfici scolpite nel divenire della luce e sollecita una rinnovata presenza del soggetto, ovvero della scultura, manifestando modulazioni sconosciute e sguardi inaspettati", ha commentato nella presentazione Giuseppina Capriotti Vittozzi, dell'Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale - Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ispc-Cnr).
"Minimi spostamenti di prospettiva e di luce valorizzano variazioni insospettate della superficie, restituendo all'immagine una rinnovata capacità di interloquire"; "la luce stimola e increspa, sembra svegliare le superfici", ha scritto ancora Capriotti, già manager del Centro archeologico dell'Istituto italiano di cultura del Cairo.