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BEIRUT - All'indomani della visita a Beirut di Filippo Grandi, Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr), il ministro degli affari sociali libanese, Hector Hajjar, ha accusato la stessa agenzia umanitaria delle Nazioni Unite di ritardare il rimpatrio "volontario" di oltre un milione di siriani da anni fuggiti in Libano a causa della guerra in Siria e del conseguente tracollo economico libanese.
I media di Beirut danno ampio spazio stamani alle dichiarazioni di Hajjar, rilasciate in concomitanza con la visita di Grandi a Beirut. "L'alto commissariato non ha i mezzi per aiutare tutti i profughi ma non li incoraggia nemmeno a rientrare (in Siria) e questo ci pone di fronte a una questione politica", ha detto Hajjar citato dai media.
Nella capitale libanese, Grandi ha incontrato lo stesso Hajjar, il ministro degli esteri Abdallah Bou Habib e alti responsabili dei servizi di sicurezza libanesi incaricati di seguire la questione del rimpatrio in Siria dei profughi siriani.
A ottobre, in concomitanza con la fine del mandato del presidente libanese Michel Aoun, le autorità libanesi hanno effettuato il rimpatrio di alcune centinaia di siriani, dopo che in primavera i governi di Beirut e di Damasco si erano accordati per l'avvio di un ambizioso piano di rimpatrio di oltre 15mila persone.
Per l'Unhcr, in Libano ci sono 825mila profughi siriani registrati. Secondo le autorità libanesi in Libano ci sono invece circa 2 milioni di profughi siriani.
Questi sono considerati dai governanti e da gran parte dell'opinione pubblica una delle cause principali della crisi socio-economica del Libano, dal 2019 alle prese con il default finanziario senza precedenti.
Il Libano non ha mai firmato la convenzione di Ginevra sui diritti dei rifugiati e non riconosce i siriani come rifugiati bensì come "ospiti temporanei".
L'Onu, l'Unione Europea e diverse organizzazioni umanitarie internazionali e libanesi criticano i piani di rimpatrio dei profughi siriani dal Libano alla Siria perché, affermano, non garantiscono l'incolumità delle persone al loro rientro in Siria e non ci sono certezze che il rientro sia in effetti volontario e rispettoso della dignità degli individui.