Un risultato (4.646 i piccoli venuti al mondo nell'ultimo anno) che la dice lunga sul ruolo e l'importanza nei Territori Palestinesi di questa struttura sanitaria di alto livello nel campo della neonatologia. E che ora non solo punta a creare un nuovo padiglione ma anche a moltiplicare le sue attività di assistenza diretta nell'aree più remote attraverso Unità mediche mobili.
"Le nostre prerogative di assoluta neutralità, apoliticità e di storica capacità di portare soccorso nello spirito dei fondatori dell'Ordine, ci consentono - sottolinea fra' Alessando de Franciscis, Grande Ospedaliere dell'Ordine di Malta in un incontro con la stampa internazionale - di operare in zone difficili come quelle in cui ci troviamo adesso o come sta accadendo anche ora in Ucraina". I Cavalieri di Malta sono un soggetto di diritto internazionale e un ordine religioso laico della Chiesa cattolica con relazioni diplomatiche bilaterali con oltre 110 Paesi e Unione Europea oltre allo status di osservatore permanente all'Onu. Una istituzione globale che opera con progetti medici, sociali e umanitari in oltre 120 Nazioni.
"L'ospedale 'Holy Family' serve la Palestina del sud nei governatorati di Betlemme ed Hebron. Ha preso avvio - sottolinea il Grande Ospedaliere, ministro della sanità e della cooperazione internazionale dell'Ordine e lui stesso pediatra - 35 anni fa, su input di papa Giovanni Paolo II, su una proprietà a Betlemme delle suore ed è stato realizzato dai Francesi. Fin dal primo momento è sembrato che la sua peculiarità non potesse che essere la maternità visto anche il valore simbolico della non distante Basilica della Natività. Poi, via via, si è espanso e negli anni ha sviluppato una alta competenza di terapia neonatale".
Gli standard di cura e i risultati - assicurano dall'ospedale durante la visita dei media - competono con quelli dei Paesi dell'Europa occidentale. Un punto di forza, tra gli altri, è la terapia intensiva con 18 posti letto che si prende cura dei bambini nati a 25 settimane che rimangono per più di 90 giorni; ci sono poi tre sale operatorie per cesarei di emergenza e relativi interventi, gestite da chirurghi, anestesisti, infermieri chirurgici e neonatologi. "Betlemme dal marzo del 2020 fronteggia una grave crisi economica aggravata ancora di più dalla pandemia Covid. E quello che stiamo constatando - aggiunge de Franciscis - è un incremento dei parti di bambini pretermine: un fenomeno indotto dall'aumento appunto della povertà, dello stress e dell'ansia. Voglio tuttavia precisare che questo avviene non solo qui ma in tutte le zone segnate dagli stessi fatti".
Nell'ospedale - che include una farmacia, un laboratorio, e serve come centro di insegnamento e addestramento del personale sanitario - sono impiegati direttamente o indirettamente circa 200 palestinesi, di questi 25 medici (10 residenti), 53 ostetriche, 43 infermieri. "Ma vogliamo fare di più. Per questo - dice il Grande Ospedaliere sottolineando a questo proposito la necessità di donazioni internazionali - è in corso la realizzazione della nuova struttura accanto a quella antica: un impegno di lavori da 5 milioni di dollari. Le lunghe braccia dell'ospedale sul territorio sono le Unità mobili che servono ogni giorno villaggi isolati e remote comunità beduine nel deserto, prevalentemente composte da rifugiati. Ogni Unità ha a bordo una ginecologa, un pediatra e una infermiera per ogni necessità delle pazienti e dei loro figli. "Mandiamo il nostro ambulatorio in quelle comunità che hanno - dice Michele Burke Bowe, ambasciatrice dell'Ordine in Palestina - la maggior barriera di accesso alle cure mediche perché arrivare a Betlemme è complicato, costoso ed è anche una questione di sicurezza".
(ANSAmed).