(di Silvana Logozzo)
TEL AVIV - "L'Eden è finito. I kibbutz, il socialismo sono morti. Non c'è più niente da fare". I vialetti zeppi di fiori, casette basse, i cespugli mossi dalla brezza del deserto, gli uccellini che sfrecciano sono un balsamo per il cuore: davanti a questo incanto, con il suo scetticismo Lior dà corpo alla realtà, una parte di essa. Il kibbutz di Reem, nel Negev occidentale, a duecento metri da Gaza, è l'immagine congelata della bellezza. La serena vita di comunità dei 400 residenti è stata cancellata il 7 ottobre 2023. Erano le 6.30, migliaia di terroristi sono piombati sul sud di Israele.
Le sirene antiaeree già suonavano, si sentivano le esplosioni.
"I soliti razzi da Gaza", hanno pensato gli abitanti. Lior scuote la testa guardandosi intorno. Almeno per ora, qui è rimasto solo il ricordo del passato, di quel sabato di orrore quando tutto è finito. I leggiadri chalet di campagna sfregiati dalle pallottole, abitazioni distrutte dal fuoco, crateri di granate, rampicanti selvatici che hanno preso il sopravvento sui muri. Lo stile ascetico del kibbutz doveva rappresentare che chi ci vive rifiuta la violenza, insegna ai figli la pace, onora la vita. Oggi ciò che è crollato sono gli ideali, il sogno della convivenza tra due popoli.
Niv ha aperto la sua casa - ciò che resta - all'ANSA. Lui, 41 anni, la moglie coetanea e i quattro figli non ci abitano dal giorno dell'assalto. Entrando si capisce perché: cucina e soggiorno sono crivellati dai colpi, dove prima c'era il tavolo da pranzo restano buchi di granata. Sul muro, vicino alla finestra sfondata, le strisce di sangue di due terroristi uccisi dall'esercito dopo una battaglia durata ore. Nel mentre la moglie di Niv e i bambini erano nascosti nell'armadio del rifugio, talmente piccolo che non si capisce come non siano soffocati. Lui, un bel ragazzo bruno dai capelli ricci, era già uscito quando l'attacco è iniziato. Insieme con altri cinque faceva parte del team di risposta rapida, gli unici ad avere armi: in sei contro decine di uomini armati di kalashnikov, granate, pistole, lanciarazzi. Le esplosioni, il rumore degli spari, le urla, le fiamme hanno riempito l'aria fino alle due di notte. Niv ha ucciso. Costretto a difendersi. Ha spostato con le sue mani i cadaveri degli amici. "Ci sono stati molti miracoli se oggi sono qui a parlare di come sono andate le cose, e la mia famiglia è ancora viva", dice. Poi apre l'armadio dove si erano nascosti i suoi per una giornata intera. "Non riuscivamo a capire che cosa stava succedendo. Non c'era nessuno che ci aiutasse, militari, polizia, nessuno", racconta. "Tu mi vedi in piedi, non ho ferite, sorrido. Ma dentro di me è un'altra cosa", e gli si riempiono gli occhi di lacrime. "I miei figli sono in shock post traumatico. Hanno 14, 12, 8 e 6 anni. Quello di otto sta più male di tutti, i medici li stanno curando". Poi si sposta tra i mobili sventrati della sua villetta, gli stipetti blu penzolano di sghimbescio sforacchiati, misteriosi rifiuti sul pavimento, soprammobili spaccati dalle pallottole, materassi sfregiati. E polvere. Sembra che l'intera guerra sia avvenuta dentro quelle quattro stanze. "E' impossibile raccontare che cosa ho sentito quando mi sono trovato davanti i terroristi", si stringe nelle spalle. Poi Niv fa da guida alle piantagioni del kibbutz, alberi di pomelo e avocado, filari verdissimi. Qui sono arrivati volontari da tutto il mondo, molti italiani, per aiutare nel raccolto che rischiava di andare perduto. Pochissimi ex residenti ci lavorano, non se la sentono, qualcuno va e viene, come Niv. "Per me questo è il posto perfetto per vivere, è casa mia, voglio ricostruire e tornarci con la mia famiglia", dice.
A Reem, Hamas e gli altri gruppi jihadisti di Gaza hanno ucciso nove soldati, cinque poliziotti, due lavoratori tailandesi, quattro residenti. Altri sono stati rapiti. A cinque minuti di strada da Reem c'è il kibbutz di Beeri, uno dei più colpiti dagli uomini di Yahya Sinwar, dove 101 civili sono stati uccisi e altri 30 portati via in ostaggio. Alcuni sono ancora a Gaza, non si sa se vivi o morti. Beeri è un luogo abbandonato, tutt'intorno regna il silenzio del Negev. Neppure una voce. Ogni cosa è rimasta ferma a quel giorno, il 7 ottobre. Case bruciate, muri anneriti, tetti scoperchiati. Neppure le macerie sono state portate via. La distruzione ha preso possesso della gioia. Poi, a qualche chilometro, ci si trova davanti la comunità di Kfar Aza, nel deserto, dove la mostruosità dei terroristi di Gaza ha sconfitto la civiltà. Ancora oggi non si sa bene quanti dei 700 residenti siano stati uccisi, torturati, smembrati, quanti neonati sgozzati, il numero delle donne e ragazzine stuprate, sfregiate, uccise durante la violenza, e bruciate. A terra è rimasta l'immonda spazzatura che si lasciano dietro gli assassini. Il pensiero diventa immobile davanti alla sconfitta dell'umanità. Resta un paesaggio muto, solo al mondo.
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