A dieci anni dai test a tappeto fatti in seguito all'omicidio di Yara Gambirasio, le tecniche di analisi del Dna sono diventate più raffinate, ma i marcatori utilizzati per le analisi sono gli stessi perché è necessario raccogliere i dati secondo le procedure standardizzate a livello internazionale, le uniche accettate dai tribunali.
"Le tecniche sono migliorate per quanto riguarda la strumentazione e l'analisi del campione, ma c'è un modello standard da rispettare, basato su analisi riconosciute a livello internazionale ai fini dell'attribuzione di una traccia genetica a un campione di Dna", dice all'ANSA il genetista Giuseppe Novelli, dell'Università di Roma Tor Vergata, che nel 2014 per il caso di Yara Gambirasio aveva collaborato alla mappa del Dna di quello che allora era definito 'Ignoto 1'. I marcatori, che come una sorta di segnalini permettono di identificare precise regioni del Dna "sono gli stessi da 20 anni ed su questi che è basata la profilazione del Dna", aggiunge.
In indagini come quelle di Yara o di Sharon Verzeni, la donna di 33 anni uccisa nella notte tra il 29 e il 30 luglio a Terno d'Isola (Bergamo), il primo passo è ottenere il profilo genetico dalle tracce di Dna trovate sulla vittima o sulla scena del crimine. "Per questa analisi è cruciale la quantità di Dna che si ha a disposizione, ma per quanto riguarda i marcatori utilizzati la possibilità di sbagliare è remota. Il Dna - aggiunge Novelli - non sbaglia mai. L'analisi è assolutamente precisa, accurata e affidabile".
Sono tre gli elementi chiave da individuare per ottenere il profilo genetico del Dna trovato sul luogo del crimine: il primo è il Dna mitocondriale, ossia il materiale genetico che si trova all'esterno del nucleo e che viene ereditato solo per via materna; il secondo è il Dna nucleare, ossia quello che è racchiuso nel nucleo della cellula; il terzo è il cromosoma Y, tipico del sesso maschile.
"Il confronto con altri profili genetici è possibile solo se è stato fatto il profilo del Dna" ottenuto dalle tracce trovate sulla vittima o sulla scena del delitto, osserva Novelli. Nel caso di Sharon, potrebbe quindi essere già noto se appartengano a un uomo o a una donna le tracce di Dna riscontrate sugli abiti e sui campioni prelevati durante l'autopsia.
Una differenza rispetto alla raccolta dei profili nel caso di Yara, è che allora erano stati condotti circa 22mila test, mentre nel caso di Sharon l'analisi è più mirata. "Nel caso di Yara - dice il genetista - la situazione era molto difficile perché il colpevole avrebbe potuto essere una persona di passaggio. Analisi di questo tipo partono dal confronto con il profilo dei familiari, poi si calcola quanto il profilo individuale dedotto del Dna trovato sulla vittima sia frequente a livello di popolazione e poi ci avvicina progressivamente".
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