A dispetto della sua immeritata fama, il Medioevo vide, per le donne milanesi, un notevole miglioramento delle condizioni sociali, culturali e biologiche, che si tradusse in un aumento dell’aspettativa di vita da 36 a 40 anni. È ciò che emerge dallo studio internazionale guidato dal Labanof dell’Università di Milano, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, che ha ricostruito gli ultimi 2mila anni di mortalità femminile a Milano grazie all’analisi di 492 scheletri. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Scientific Reports, rivelano che invece il rischio di morire in giovane età era molto più elevato all’epoca dell’antica Roma e tra XVI e XVIII secolo, soprattutto a causa della scarsa assistenza al momento della gravidanza e del parto.
“Questo studio mostra come la differenza di genere passa anche attraverso la longevità”, commenta Lucie Biehler-Gomez, prima autrice dello studio coordinato da Cristina Cattaneo. “L'analisi sottolinea l'importanza delle indagini bio-archeologiche nella ricostruzione del passato – aggiunge la ricercatrice – fornendo risposte che possono sfidare le assunzioni storiche e facendo luce su come l'interazione tra fattori culturali, sociali e biologici abbia modellato l'esperienza femminile attraverso i millenni”.
I ricercatori hanno considerato i possibili fattori che hanno influenzato la mortalità femminile. Durante il Medioevo, a Milano fu rivolta molta attenzione ai bisogni delle classi medie e basse, compreso il sostegno alle donne, contribuendo alla diminuzione del rischio di mortalità: alla fine del XIII secolo, ad esempio, la città vantava diversi ospedali per i malati. Nel periodo moderno, invece, l’aumento del lavoro fisico in settori pericolosi come l’industria tessile, un’occupazione che divenne principalmente femminile, ha probabilmente compromesso la salute delle donne che oltre a queste attività usuranti dovevano anche continuare a dedicarsi alle faccende domestiche e alla cura dei figli.
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