Il mini-reattore sperimentale dell’azienda americana Zap Energy per l’energia da fusione è riuscito a superare la soglia dei 10 milioni di gradi per la temperatura del plasma, che è all’incirca quella del nucleo del Sole, raggiungendo valori tra gli 11 e i 37 milioni di gradi: il dispositivo si va quindi ad unire alle schiere, molto ridotte, di quelli che finora hanno dimostrato di essere capaci di ottenere plasmi così caldi. Il risultato, pubblicato sulla rivista Physical Review Letters, si deve all’innovativa tecnologia utilizzata da questo reattore compatto, chiamato FuZE, che a differenza di approcci più tradizionali non richiede grandi e costosi magneti superconduttori o laser potenti, e risulta quindi più semplice ed economica.
“È un approccio diverso da quello utilizzato comunemente e potenzialmente molto interessante, il suo punto di forza è la semplicità”, dice all’ANSA Paola Batistoni, responsabile della divisione sviluppo dell’energia da fusione all’Enea. “I risultati ottenuti sono promettenti, ma sono ancora lontani da quelli raggiunti da altri progetti – commenta la ricercatrice – che sono arrivati a temperature di circa 100 milioni di gradi”. Ne è un esempio Iter, il reattore sperimentale per la fusione nucleare in costruzione nel Sud della Francia e al quale partecipa anche l’Italia.
Per creare le condizioni per la fusione, bisogna innanzitutto generare un plasma, cioè uno stato della materia in cui nuclei ed elettroni non sono legati insieme a formare gli atomi ma fluiscono liberamente. La compressione e il riscaldamento di un plasma costituito da due forme di idrogeno, chiamate deuterio e trizio, provoca la collisione e la fusione dei loro nuclei: quando ciò avviene, le reazioni di fusione emettono circa 10 milioni di volte più energia rispetto alla combustione della stessa quantità di carbone. La sfida più grande, però, è quella di riuscire ad ottenere più energia di quella utilizzata per innescare la reazione.
Per confinare il plasma, la tecnologia di Zap Energy non si basa su magneti ma su un sistema più semplice, nel quale le correnti elettriche vengono incanalate attraverso un sottile filamento di plasma: in questo modo, il plasma stesso genera campi elettromagnetici che lo riscaldano e comprimono. Questa tecnica è stata sperimentata fin dalla metà del secolo scorso, ma l’ostacolo principale alla sua applicazione era la breve durata del plasma, un problema che però Zap Energy ha ora risolto, riuscendo a stabilizzare la reazione.
“La sfida, però, non è solo quella di raggiungere le condizioni adeguate per la reazione di fusione nucleare – sottolinea Batistoni – ma anche quella di risolvere i problemi tecnologici e costruire tutti quei componenti necessari a contenere la potenza, estrarla e convertirla in energia elettrica. Iter sta già affrontando questi problemi e si trova dunque in una fase molto più avanzata. Gli approcci alternativi seguiti da studi come questo sono molto interessanti – conclude la dirigente di ricerca dell’Enea – ma si tratta ancora di esperimenti”.
Le misurazioni delle temperature raggiunte sono state effettuate da un gruppo di ricercatori esterni dell’Università della California a San Diego e del Laboratorio Nazionale Lawrence Livermore, che hanno usato un laser molto luminoso e molto veloce per sparare un impulso di luce verde nel plasma: questo disperde gli elettroni e fornisce informazioni sulla loro temperatura e densità. L’azienda americana ha già commissionato un nuovo dispositivo sperimentale di prossima generazione, FuZE-Q, che dovrebbe essere in grado di produrre una quantità di energia molto maggiore.
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