La Terra si trova in una zona della Via Lattea favorevole alla vita, ossia né troppo vicina né troppo distante dal centro della galassia, ed è in zone come questa che astronomi e astrofici stanno raccogliendo indizi per capire quanto potrebbe essere comune la vita fra le stelle. “Esiste una zona di abitabilità delle galassie”, dice Francesca Matteucci, che insegna Fisica stellare all’Università di Trieste, a margine del convegno dell’Accademia dei Lincei che spazio dall’astrofisica all’astrobiologia.
“C’è un legame fra astronomia e biologia” in quanto “gli elementi chimici alla base della vita hanno origine da reazioni nel mezzo interstellare”, osserva Matteucci, che è fra gli organizzatori del convegno. E’ nell’osservazione di come gli elementi chimici siano distribuiti la chiave per individuare le zone delle galassie in grado di ospitare forme di vita.
Sono stati elaborati in così modelli che individuano le zone in cui è maggiore la possibilità che si formino sistemi planetari. Nella Via Lattea il nostro Sistema Solare si trova in ottima posizione, mentre nella galassia di Andromeda, più grade della nostra, le posizioni migliori sono più periferiche.
La vita è invece improbabile dove entrano in azione killer cosmici come le supernovae, ossia le stelle che chiudono il loro ciclo vitale con una tremenda esplosione, liberando “enormi quantità di radiazioni nocive”. Questi fenomeni sono più frequenti in prossimità del centro della galassia, dove si trova anche il buco nero Sagittarius A*. La periferia della Via Lattea sembrerebbe invece abbastanza povera di pianeti.
In ogni caso, considerando l’enorme quantità di stelle e galassie esistenti, “la probabilità che l’universo possa ospitare altre forme di vita oltre la nostra è altissima”, dice Matteucci.
La ricerca di vita riguarda poi anche i singoli pianeti esterni al Sistema Solare. “Il loro numero cresce di giorno in giorno e l’aspetto più interessante è che molti non hanno un equivalente nel nostro Sistema Solare”, osserva Giovanna Tinetti dell’University College London, fra i relatori del convegno.
“I pianeti più comuni nella Via Lattea hanno dimensioni intermedie fra la Terra e Nettuno: non sappiamo che cosa siano, potrebbero avere caratteristiche diverse sia dalla Terra sia da Nettuno. In generale – aggiunge – gli esopianeti hanno una grande diversità, mentre ci saremmo aspettati sistemi planetari simili al nostro”. Questo, prosegue, “ci fa domandare perché il Sistema Solare si fatto così. Al momento la Terra è l’unico pianeta noto a ospitare la vita, ma è un pregiudizio pensare che sia l’unica a farlo. Non sappiamo quanti e quali pianeti possano ospitare vita”.
La sfida dei prossimi anni non è allora scoprire altri pianeti extrasolari, ma “capire meglio questi mondi, studiandone caratteristiche come quelle legate all’atmosfera e alla temperatura, capire meglio la loro varietà e l’origine della loro diversità, forse legata al processo di formazione”, aggiunge Tinetti. In questo saranno molto utili i prossimi telescopi, sia quelli basati a Terra come Elt, sia quelli spaziali, come Plato, il cui lancio è previsto nel 2027, e come la missione europea Ariel, della quale Tinetti è coordinatrice e il cui lancio è in programma nel 2029. “Il suo obiettivo – conclude – non è scoprire nuovi pianeti, raccogliere dati sull’atmosfera di circa migliaio di esopianeti”.
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