Durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Pompei fu scossa anche da forti terremoti, che furono il preludio soprattutto alla seconda fase, quando il vulcano iniziò a sprofondare, e che aggiunsero i loro effetti distruttivi e mortali a quelli dell’eruzione. Ora, anche questa parte della storia è stata ricostruita, grazie alla collaborazione scientifica tra Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e Parco Archeologico di Pompei: lo studio, pubblicato sulla rivista Frontiers in Earth Science, si è concentrato, in particolare, sui crolli e i danni strutturali che hanno interessato l’insula dei Casti Amanti, dove durante recenti scavi sono stati rinvenuti i resti di due individui.
“I risultati che abbiamo ottenuto con il nostro studio aggiungono un ulteriore tassello alla conoscenza della dinamica degli eventi vissuti dagli abitanti di Pompei quasi 2mila anni fa”, commenta Mauro Antonio Di Vito, direttore dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv e co-autore della ricerca guidata da Domenico Sparice. “Lo studio ci ha anche consentito di individuare il momento esatto dell’eruzione in cui la sismicità ha avuto effetti distruttivi contribuendo, probabilmente, a influenzare le azioni dei pompeiani durante la catastrofe”.
L’eruzione cominciò nella tarda mattinata, ma solo intorno alle 13,00 iniziò la fase parossistica: una colonna eruttiva si innalzò sul vulcano raggiungendo un’altezza di oltre 30 chilometri e una pioggia di pomici iniziò a cadere su Pompei, spingendo gli abitanti a rifugiarsi negli edifici. “L’accumulo di pomici causò il cedimento di alcuni tetti e le prime vittime tra coloro che avevano cercato riparo”, dice Sparice. “Poi, un breve declino dell’attività eruttiva spinse probabilmente i sopravvissuti a ritenere che il peggio fosse passato, ma non fu così. Al tempo stesso – aggiunge il ricercatore – forti terremoti scossero la città: fu il preludio alla seconda fase dell’eruzione, che vide un ampio settore del vulcano sprofondare formando una caldera”.
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