Grazie a campioni raccolti da 146 foreste di tutta l'Europa, dall’Italia alla Svezia, dalla Francia alla Lituania, è stata realizzata la prima analisi su vasta scala degli effetti che producono i diversi metodi di gestione sulla biodiversità e resilienza di questi importantissimi ecosistemi. Lo studio, pubblicato sul Journal of Applied Ecology, ha coinvolto 12 Paesi e 54 ricercatori in una vasta collaborazione internazionale guidata da Università Sapienza di Roma e Crea di Arezzo. Alla ricerca hanno collaborato anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche, con Istituto per la BioEconomia di Roma e Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri di Firenze, l’Eurac Research di Bolzano, l’Università dell’Insubria, l’Università di Sassari e l’Università di Padova.
I ricercatori guidati da Francesco Chianucci del Crea di Arezzo e, per l'Università Sapienza, da Francesca Napoleone e Sabina Burrascano, hanno confrontato gli effetti di ciascuna strategia di gestione forestale, in particolare in rapporto all’elevata diversità funzionale, che in caso di instabilità climatica o eventi catastrofici aumenta la probabilità che alcune specie possano sfruttare a loro vantaggio le nuove condizioni, contribuendo così alla resilienza, e alla cosiddetta ridondanza funzionale, cioè la compresenza di specie che svolgono funzioni simili, che garantisce quindi il mantenimento dell’ecosistema anche se una di queste specie viene meno.
I risultati mostrano che le strategie di sfruttamento dei boschi a bassa intensità permettono di mantenere la buona salute dell’ecosistema, mentre lo sfruttamento più intensivo per la produzione di legname provoca un calo della diversità, parzialmente controbilanciata da un aumento della ridondanza. Ciò implica che il taglio eccessivo limita fortemente la gamma di risposte che la foresta può mettere in atto in risposta ai cambiamenti ambientali. Secondo gli autori dello studio, però, non esiste una gestione perfetta per tutti: i sistemi vanno sempre adattati al contesto locale.
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