Oltre 6 miliardi di euro, pari al 10%
circa dell'export agroalimentare made in Italy: è il valore
delle esportazioni italiane verso i mercati asiatici che in
dieci anni ha messo a segno una crescita del 128%. Sono i dati
contenuti nel Report Ismea 'Gli scambi agroalimentari italiani
con l'Asia e la crisi del canale di Suez', secondo cui l'Italia
è in quinta posizione tra i principali paesi esportatori di
prodotti agricoli e alimentari verso l'Asia, dopo Paesi Bassi,
Francia, Spagna e Germania. Uno scenario che si inserisce in un
flusso di scambi in evoluzione, dove le importazioni da parte
dell'Asia sono passate in dieci anni dal 30,4% del 2013 al 35,7%
del 2022.
I principali prodotti esportati in Asia sono tutti i
'campioni' del made in Italy, con una forte incidenza dei vini,
che muovono un fatturato di 446 milioni relativamente ai soli
fermi in bottiglia (dato 2022, pari all'8,5% dell'export totale
di categoria) e di 119 milioni per gli spumanti (5,6%).
Le paste, con 332 milioni di euro nel 2022, raggiungono in
Asia una quota dell'11,9% dell'export totale del comparto;
seguono pomodoro trasformato (230 milioni, con il 9,4% di quota)
e formaggi (258 milioni; 7,2%).
Riguardo alla frutta, i prodotti più venduti sono mele (181
milioni; 21% dell'export complessivo) e kiwi (60 milioni; 12%
del totale). Con riferimento alle importazioni, gli acquisti
nazionali dall'Asia hanno generato una spesa di 4,9 miliardi nel
2022 (i principali prodotti importati sono oli di palma, caffè e
molluschi). Ne deriva un surplus della bilancia commerciale
italiana nei rapporti di scambio con l'Asia di 1,2 miliardi di
euro. Primo cliente dell'area è il Giappone (1,75 miliardi di
acquisti agroalimentari dall'Italia, seguito, con valori
nettamente inferiori, da Cina, Corea del Sud e Arabia Saudita.
Sui costi di trasporto, con i cambi di rotta che hanno
costretto alla circumnavigazione dell'Africa, c'è stato un
incremento nell'ordine del 40% e un allungamento dei tempi di
percorrenza di 7-10 giorni.
Uno scenario - si legge nel report - che rischia di incidere
doppiamente sui mercati: parte dei prodotti destinati ai Paesi
asiatici, in particolare quelli più deperibili, potrebbero
infatti confluire nei tradizionali sbocchi europei dove si
configurano possibili rischi di surplus e di riduzione dei
prezzi.
Da evidenziare, conclude lo studio Ismea, che il commercio
agroalimentare risulta esposto alla crisi non solo nelle
esportazioni ma anche nelle importazioni di materie prime e
semilavorati, la cui potenziale contrazione potrebbe generare un
rallentamento della produzione dell'industria alimentare
nazionale, e non solo, incidendo sulle catene globali del
valore.
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