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Le grandi città, certo, la Sardegna e Ischia con la bellezza della natura e il fascino delle tradizioni, ma anche, e in particolare, l' Abruzzo, la Basilicata, il Sud di una nazione che si risolleva dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. L'occhio di Henri Cartier-Bresson si è posato a lungo sull'Italia nei viaggi che il maestro francese dello scatto fece ripetutamente fino agli Anni Settanta, quando decise di lasciare. A questo rapporto Palazzo Roverella, a Rovigo, dedica una grande mostra dal 28 settembre al 26 gennaio, sulla scia dei fortunati appuntamenti annuali con i giganti della fotografia, dopo Robert Doisneau, Robert Capa e Tina Modotti. La più importante mostra monografica italiana su Cartier-Bresson (1908-2004) è realizzata in collaborazione con la Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi e la Fondazione Camera, Centro Italiano per la Fotografia di Torino, con la curatela di Clément Chéroux, e Walter Guadagnini, direttori delle due Fondazioni. Attraverso circa 200 fotografie e documenti - giornali, riviste, volumi, lettere - il racconto prende le mosse dal primo viaggio italiano avvenuto all'inizio degli Anni Trenta del fotografo, che aveva appena abbandonato definitivamente la pittura, in compagnia dell'amico André Pieyre de Mandiargues, giovane poeta e scrittore, e della sua compagna, la pittrice Leonor Fini. Da questo viaggio di piacere, il giovane Henri - che si sarebbe guadagnato l'appellativo di ''Occhio del Secolo'' - scatta alcune delle sue immagini più famose, tutte presenti nella sezione di apertura della esposizione. Il viaggio successivo, non meno importante, fu all'inizio degli anni Cinquanta e toccò l'Abruzzo e la Lucania, allora fonti di grandi stimoli culturali e sociologici, e simbolo del Sud in cui si scontravano tradizione e modernità, povertà e cambiamenti sociali. Figura centrale nella costruzione dell'immagine del Sud e in particolare di queste regioni è lo scrittore e pittore Carlo Levi, riferimento fondamentale per i tanti fotografi, italiani e stranieri, che si muovono tra Matera e i paesi del territorio, tra cui Scanno nei pressi di L'Aquila, divenuta celebre proprio grazie agli scatti di Cartier-Bresson e più tardi di Giacomelli. Divenuto una leggenda vivente della fotografia - nel 1947 fu tra i fondatori della mitica Agenzia Magnum -, Cartier-Bresson tornò a più riprese in Italia tra gli anni Cinquanta e Sessanta realizzando servizi per le grandi riviste illustrate dell'epoca, tra cui "Holiday" e "Harper's Bazaar", dedicati a Roma, Napoli, Venezia, che suscitano l'interesse dei lettori stranieri, e a Ischia e alla Sardegna, che gli permisero di concentrarsi sugli usi e i costumi del paese e dei suoi abitanti. Gli scatti realizzati a Roma restituiscono il clima di quegli anni e la specificità di un paese non ancora omologato alle influenze culturali che arrivavano dagli Stati Uniti. Alcune di queste immagini confluiscono appunto in uno dei libri più noti del fotografo, "Les Européens" (1955), nel quale si racconta la nuova Europa ormai in pieno sviluppo. L' ultimo capitolo, con immagini dei primi anni Settanta, è ancora dedicata a Matera, un ritorno sui luoghi frequentati vent'anni prima, in cui sono evidenti la continuità e la discontinuità del tempo, l'avanzare della modernità e la persistenza delle identità locali, accanto a quelle quelle dedicate al mondo del lavoro industriale, tra Olivetti e Alfa Romeo. che spostano invece l'attenzione specificamente sui nuovi stili di vita del periodo. La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Dario Cimorelli Editore con tutte le opere esposte, i saggi dei due curatori e di Carmela Biscaglia, quest'ultimo dedicato alle vicende e ai personaggi che hanno reso particolare il rapporto di Cartier-Bresson con la Basilicata.
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