BRUXELLES - Adattare la politica di coesione dell'Ue alle nuove sfide della transizione verde e digitale, mantenendone però la governance e riducendo le disparità regionali.
Anche i Paesi Ue entrano nel dibattito aperto a Bruxelles sulla revisione della politica di coesione, approvando all'unanimità al Consiglio Affari Generali di Lussemburgo le conclusioni sul nono rapporto dedicato a questi fondi Ue presentato dalla Commissione Ue a fine marzo per spianare la strada alla futura revisione. Sette le pagine di conclusioni in cui i ministri concordano sulla necessità di adattare la "politica di coesione" attuale alle sfide demografiche e della transizione, mantenendone però i tratti distintivi, come la "gestione condivisa" tra territori e Ue e la "governance multilivello", si legge.
Sembrano scoraggiare, dunque, il modello centralizzato di gestione delle risorse che invece prende piede nella visione della Commissione europea sulla nuova politica. Imperativo per i governi tenere conto "che le regioni hanno punti di partenza, esigenze e capacità diverse" e quindi dovrebbero intraprendere anche percorsi di sviluppo diversi. Guardando alla possibilità che l'Ue apra i propri confini all'Ucraina e non solo, i ministri sottolineano anche che l'ingresso di nuovi membri avrà "implicazioni anche per la politica di coesione" e che queste sfide e preoccupazioni devono essere affrontate in modo "inclusivo ed equo, garantendo che nessuno venga lasciato indietro". Del rapporto tra fondi di coesione e allargamento ha parlato anche la commissaria responsabile Elisa Ferreira in conferenza stampa al termine della riunione, rivendicando che grazie a a questa politica il blocco di Paesi che hanno aderito all'Ue dal 2004 ha visto il suo Pil pro capite passare dal 52% della media Ue all'80% di oggi. La politica portoghese ha aggiunto poi che "coesione e competitività sono due facce della stessa medaglia".
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