Nessuna marcia indietro, ma anzi necessità di accelerare sui target al 2035. E' un messaggio chiaro quello che Bruxelles ha lanciato all'industria dell'auto a dodici stelle, all'interno di un contesto definito "poco roseo", stretto tra progressi ancora "lenti" sulla decarbonizzazione dell'industria e la concorrenza dei prezzi bassi delle auto cinesi.
Thierry Breton si è detto "preoccupato" per i ritardi delle case automobilistiche europee sull'impegno politico - fresco quanto contestato - di eliminare gradualmente dal mercato i motori endotermici, diesel e benzina, entro il 2035. Lo ha fatto in una riunione Palazzo Berlaymont il 9 settembre, di fronte ad una ventina di rappresentanti dell'ecosistema industriale automobilistico, dalle imprese alle Regioni e alle città, fino ai sindacati e alle Ong, per discutere le sfide del settore. E aprendo, allo stesso tempo, ai suggerimenti dell'industria su come adeguare gli indicatori previsti dalla normativa europea, "secondo necessità".
"Abbiamo fatto un quadro realistico della situazione attuale e di dove dobbiamo accelerare per raggiungere l'obiettivo del 2035", ha scritto il commissario responsabile per l'industria e il mercato interno via social, riferendo di un incontro "ottimo" con tutti gli stakeholder dell'automotive. Fondi per la transizione, colonnine di ricarica, competenze e accesso a batterie e materie prime sono le sfide che preoccupano il comparto e che sono state al centro del confronto. Pur in un quadro "non roseo" in cui la Cina "è molto più avanti di Bruxelles nella produzione di veicoli elettrici a prezzi accessibili, Breton ha ricordato che il compito dei politici non è quello "di stare seduti ad aspettare che i nostri obiettivi per il 2035 si materializzino magicamente". Ma di lavorare insieme all'industria per realizzarli.
Bruxelles ha messo in guardia l'industria delle auto su una domanda stagnante trainata da una produzione di veicoli elettrici in calo (nel 2024 si prevede che ne saranno realizzati meno rispetto agli 1,8 milioni di modelli del 2023), stimando un deficit commerciale con le auto elettriche prodotte a Pechino pari a 8,8 miliardi di euro. Il monito ad andare avanti di Bruxelles è giunto mentre si avvicina il 2026, quando la futura Commissione europea avrà la possibilità di rivedere la stretta al 2035 attraverso una clausola di revisione prevista dal regolamento Ue.
Una deadline vicina ma mai quanto la vorrebbe il ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, che nel fine settimana da Cernobbio ha annunciato che proporrà agli omologhi europei e alla Commissione Ue di anticipare alla prima parte del 2025 la revisione dello stop alla produzione di auto termiche entro il 2035. Roma non è sola in Ue a preoccuparsi per il futuro del settore e sulla riapertura del divisivo dossier potrebbe cercare e ottenere la sponda tedesca. La riunione di Breton con l'automotive ha avuto luogo dopo che la scorsa settimana la Volkswagen ha confermato che avrebbe smesso di produrre veicoli elettrici nel suo stabilimento Audi di Bruxelles, che ora è a rischio chiusura, e che sta valutando ora la possibilità di chiuderne uno in Germania, per la prima volta nella sua storia. Una decisione che, ovviamente, ha scatenato la rivolta dei lavoratori, i quali hanno proclamato la massima mobilitazione per il 16 settembre.
A vedere un "disallineamento grave" tra le richieste dell'automotive e la risposta dell'Ue è stato tuttavia anche l'ex premier Mario Draghi che, a Bruxelles, ha presentato l'atteso report sulla competitività Ue. L'ex presidente della Bce ha citato come esempio la scarsa presenza di colonnine elettriche sul territorio che frena anche l'espansione dell'elettrico. E, guardando alla transizione verde e al previsto stop ai motori tradizionali ha evidenziato a più riprese la necessità di "assicurarsi che tutte le politiche" in Ue siano allineate: "le politiche climatiche con le politiche industriali, quelle industriali con quelle commerciali".
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