(di Lorenzo Padovan)
Era il 26 maggio. A un quarto d'ora
dalla fine del match di Frosinone, l'Udinese aveva un piede e
mezzo in B. E i padroni di casa non avevano sbloccato il
risultato solo grazie a due miracoli di Okoye. Ci pensò la rete
di Davis a tenere i bianconeri in A al termine della stagione
più sofferta delle 29 consecutive nella massima serie, un
traguardo condiviso, nel periodo, solo con Inter, Milan, Roma e
Lazio.
Quella sera Gino Pozzo tirò una linea. A sorpresa si congedò
dal salvatore della patria, il pallone d'oro Fabio Cannavaro,
per affidarsi allo sconosciuto ai piu' Kosta Runjaic, che oggi
lo ripaga con la vetta solitaria della classifica, anche se sono
state disputate solo 4 giornate.
Da 13 anni i friulani non guardavano tutti dall'alto: in
panchina c'era Guidolin e al termine di quel torneo i bianconeri
arrivarono terzi, dietro Juventus e Milan. Curiosamente, il
figliol prodigo Alexis Sanchez nell'ottobre 2011 - la vetta
solitaria è alla settima giornata - non era già più a Udine: in
estate era volato a Barcellona. E oggi non è ancora sceso in
campo, causa infortunio. Gran parte del merito di questo
miracolo sportivo è di Runjaic, perché nell'organico del primo
scorcio di campionato l'unica novità tra i titolari è lo svedese
Karlstrom, mentre i senatori Pereyra, Walace, Perez e Samardzic
hanno appena salutato il Friuli rimpiazzati da giovani di belle
speranze.
Il tecnico tedesco è un pragmatico, rifugge riflettori e
notorietà. Quando è arrivato ha detto di chiamarlo semplicemente
Kosta, ha fatto sapere che la famiglia sarebbe rimasta in
Germania; ha garantito solo una cosa: impegno e serietà. I
friulani lo hanno adottato da subito, accolto da un'ovazione
nella presentazione in piazza, ha esordito con un "Mandi" e i
cuori si sono sciolti definitivamente. In campo schiera la
difesa a tre e si affida a due trequartisti dietro una punta di
peso. Non teme la pressione: in Polonia guidava il Legia
Varsavia, una delle compagini più titolate, avendo vinto 15
campionati e 20 coppe nazionali, con anche due semifinali in
Coppa dei Campioni e in Coppa delle Coppe. E tifoseria
caldissima.
Nei primi tre mesi di lavoro in Italia non ha sbagliato una
mossa, aiutato dal mastino Inler, scelto come direttore area
tecnica: allenamenti aperti al pubblico, Thauvin capitano che
sembra tornato quello che nel 2018 fu campione del mondo con la
Francia, nessuna euforia di fronte all'escalation di risultati.
Dopo Bologna ha ammesso di aver portato a casa un punto
fortunosamente; battuta la Lazio ha ricordato che aver
eguagliato il record di successi interni della stagione
precedente era traguardo ben poco edificante; nel commentare il
successo sul Como, grazie a un rigore sbagliato da Cutrone al
96', ha dato ragione a Fabregas: i lariani avevano giocato
meglio; a Parma, nella serata magica del ritorno in vetta, ha
predicato calma, ricordando che il bottino incamerato è solo
fieno in cascina per quando verranno tempi bui.
Adesso è atteso dalla prova del 9: prima la Roma di De Rossi,
che non ha ancora vinto in campionato, poi la corazzata Inter,
in casa. Dopo questi 180' si saprà forse il vero valore
dell'Udinese. In fondo, prima dei Percassi e dell'Atalanta dei
miracoli, il titolo di regina delle provinciali è stato suo per
tanti lustri. E 30 anni in A non sono un caso.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA