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Lo status di rifugiata a una donna albanese vittima del racket

Lo status di rifugiata a una donna albanese vittima del racket

'Se espulsa può tornare ad essere vittima di sfruttamento della prostituzione'

MILANO, 30 gennaio 2025, 17:08

di Andrea Cittadini

ANSACheck
Palazzo di Giustizia di Brescia (foto d 'archivio) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Palazzo di Giustizia di Brescia (foto d 'archivio) - RIPRODUZIONE RISERVATA

In Italia era arrivata da minorenne.

   "Venduta da mio padre ad un trafficante che mi ha portata in Italia e fatta prostituire" ha raccontato ai giudici chiedendo di ottenere lo status di rifugiata. Il tribunale di Brescia ha creduto al racconto di una trentenne nata a Durazzo e ha accolto il ricorso della donna.

   Non può essere espulsa perché tornerebbe in un Paese, l'Albania, che i giudici bresciani non ritengono sicuro.

   "È innegabile che se la donna facesse ritorno in Albania si ristabilirebbe in uno Stato ove potrebbe essere facilmente rintracciata e vittima del fenomeno di re-trafficking, ben potendo ricadere nella medesima forma di sfruttamento" ha scritto il collegio presieduto da Mariarosa Pipponzi nella sentenza. "L'Albania - si legge nel provvedimento - è considerata un paese di origine, transito e destinazione per uomini, donne e bambini sottoposti alla tratta per sfruttamento sessuale e sfruttamento lavorativo".

   "Le donne albanesi e i bambini - prosegue - sono sottoposti allo sfruttamento sessuale e lavorativo all'interno del Paese, specialmente durante la stagione turistica. I trafficanti usano false promesse come matrimoni o lavoro per obbligare le vittime allo sfruttamento ed è molto diffuso anche l'uso dei social per il reclutamento delle vittime".

   La donna - madre di una figlia che mantiene personalmente con il lavoro regolare che ha a Brescia - in Albania rischierebbe di finire nuovamente nelle mani dei trafficanti anche perché "le autorità - scrive il tribunale bresciano - non investono molte energie nell'identificazione delle vittime di tratta nella prostituzione così come gli ispettori del lavoro non hanno adeguata formazione per identificare le vittime di lavori forzati".

   Soddisfatto l'avvocato Stefano Afrune, legale della 30enne, che aveva presentato ricorso al tribunale contro il primo no allo status di rifugiato incassato dalla Commissione territoriale per la protezione internazionale. "I giudici di Brescia confermano essere presidio inamovibile del diritto soggettivo. La sentenza si caratterizza per dare tutela alla donna nella sua vulnerabilità" commenta il difensore della 30enne. "La sezione protezione internazionale di Brescia conferma essere un tribunale illuminato , che - conclude l'avvocato Afrune - fa parte della giurisprudenza più solida e sensibile". 
   

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