Un percorso sacro vagamente naive che si avvale sul palco di pochi oggetti costruiti artigianalmente a scandire una drammaturgia che episodio dopo episodio conduce alla pace tra due popoli. È il Nabucco di Verdi visto dal regista Mariano Bauduin che ieri, 25 ottobre, ad Ancona ha inaugurato tra gli applausi la stagione lirica del Teatro delle Muse in una nuova produzione dell'omonima Fondazione. Un allestimento che ha privilegiato una visione spirituale dell'opera a cui il regista ha voluto dare la forma di un oratorio, svincolando la vicenda della lotta tra babilonesi ed ebrei che le fa da cornice da un preciso contesto storico per trasformarla in una liturgia corale, atemporale e simbolica della ricerca di sé stessi e del proprio luogo di appartenenza.
La storia d'ispirazione biblica è quella del re di Babilonia Nabucco che opprime Gerusalemme, ma anche della figlia illegittima Abigaille che lo depone per ereditarne il regno ed è innamorata di Ismaele, nipote del re ebreo sconfitto. Ma Ismaele ama riamato Fenena, figlia legittima di Nabucco, fatta prigioniera dagli ebrei di cui accoglie la religione venendo considerata una traditrice. Entrambi sembrano condannati a pagare con la morte le loro scelte, finché un Nabucco delirante dopo essersi dichiarato esso stesso Dio, ritrova la ragione vedendo Fenena condotta al patibolo e decide di salvare lei e tutti gli ebrei, mentre Abigaille si uccide.
La vicenda divisa da Verdi in quattro parti: Gerusalemme, L'empio, La profezia, L'idolo infranto, viene riproposta alle Muse come un susseguirsi di quadri statici in cui coristi, figuranti e solisti, una settantina in tutto, in abiti a tunica di Stefania Cempini che riflettono quelli dell'epoca sono truccati in viso alla maniera del teatro giapponese Kabuki per conferirgli il ruolo di personaggi rituali. I movimenti delle masse artistiche sono ieratici e stereotipati dando vita talvolta a veri e propri quadri viventi a cui le luci e le scene di Lucio Diana conferiscono una stilizzata efficacia.
Sono un telo di diversi colori a delineare il tempio di Salomone, una torre di Babele in bambù per la reggia babilonese ed altri teli con disegni di fiori che scendono dall'altro per definire gli orti pensili, con l'aggiunta di scale rimovibili su cui agiscono i personaggi, oggetti rituali e un suggestivo cavallo costruito dalle maestranze delle Muse su cui arriva Nabucco. Il maestro Gyorgy Gyorivanyi Ràth, sul podio dell'Orchestra Filarmonica Marchigiana, del Coro Lirico Marchigiano Bellini (preparato da Francesco Calzolaro) e dell'Orchestra Fiati di Ancona, si allinea alla regia con una direzione perfettamente aderente alla partitura ma senza enfasi, offrendo nell'insieme uno spettacolo coerente dove tutti sono stati applauditi calorosamente.
A partire da Ernesto Petti, un Nabucco di grande versatilità vocale e presenza scenica, assieme all'apprezzato Nicola Ulivieri (Zaccaria), ad Alessandro Scotto Di Luzio (Ismaele) e a Rebeka Lokar (Abigaille). Battimani anche per Irene Savignano (Fenena), la cui voce ha tradito un po' di emozione, Andrea Tabili (gran sacerdote), Antonella Granata (Anna) e Luigi Morassi (Abdallo). Replica il 27 ottobre alle 16,30.
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