(di Fausto Gasparroni)
(ANSA) - CITTÀ DEL VATICANO, 11 MAR - Il Papa che fa
ripartire la Chiesa dalla spinta in avanti del Concilio Vaticano
II, e che ne promuove la "conversione pastorale" e
"missionaria", oltre che, in quest'ultimo biennio, nel segno
della "sinodalità". Se un nucleo centrale si può rintracciare
nei dieci anni di pontificato di Francesco, è in queste pulsioni
innovative, che però trovano salda radice proprio nello spirito
"conciliare", nondimeno ancora non ben digerito, anzi
contrastato, da larghe fasce conservatrici dell'arcipelago
ecclesiale.
Uno spirito, tra l'altro, che nell'ottica di Francesco, si
rifà alla "radicalità evangelica" e all'anima della "Chiesa
degli inizi", in tutti i suoi risvolti: dall'amore per il
prossimo alla sobrietà e allo spogliarsi di ogni orpello mondano
e simbolo di potere, dall'"opzione preferenziale per i poveri"
alla missione "evangelizzatrice" cui è chiamato ogni battezzato,
in quel "sinodale" camminare insieme in cui non ci sono più
rigide distinzioni tra chierici e laici. Fino all'atteggiamento
della "misericordia", che per Francesco costituisce il marchio
di fabbrica del cristianesimo, cui ha dedicato un Giubileo
straordinario e che nel suo pontificato è diventato persino "una
forma dell'agire politico e diplomatico", come ricordava padre
Antonio Spadaro in un saggio su Civiltà Cattolica nel febbraio
2016.
"L'attuazione del Vaticano II è la carne e le ossa di questo
pontificato", scrive eloquentemente sulla testata 'The Catholic
Leader' il cardinale canadese Michael Czerny, gesuita come
Bergoglio e suo stretto collaboratore in quanto prefetto del
Dicastero per lo Sviluppo umano integrale. "Dalla
caratterizzazione conciliare dei fedeli come 'popolo di Dio', il
Papa estrapola che 'ciascuno di noi è battezzato non solo per
seguire Cristo, ma per essere discepolo missionario'". "Non
credo che, prima, il signore e la signora 'Cattolici', giovani o
meno giovani, si fossero visti con questa essenza e vocazione
che ora papa Francesco sta spacchettando e liberando", aggiunge
Czerny.
"Sento che il Signore vuole che il Concilio si faccia strada
nella Chiesa. Gli storici dicono che perché un Concilio sia
applicato ci vogliono 100 anni. Siamo a metà strada", ha
ripetuto più volte papa Bergoglio. E tra i ricorrenti rimproveri
alla Chiesa italiana, ad esempio, forse il più gelido e
tagliente è stato quello contenuto nell'intervista al Corriere
della Sera del 3 maggio 2022, quando sottolineava che
l'attuazione degli orientamenti dati dal Concilio Vaticano II è
stata "forse più difficile" in Italia che in America Latina o in
Africa: "Spesso ho trovato una mentalità preconciliare che si
travestiva da conciliare".
Alla conversione pastorale e missionaria da lui promossa, a
partire dalla sua esortazione Evangelii gaudium - e prima ancora
rifacendosi alla Evangelii nuntiandi di Paolo VI -, Francesco ha
dato organicità e compimento nella costituzione apostolica
Praedicate evangelium, promulgata un anno fa dopo nove di
lavori, per riformare la Curia romana. Curia che smette di
essere centro di potere, ponendosi al servizio della Chiese
locali, della "Chiesa in uscita" e "ospedale da campo" per le
ferite dell'umanità, tanto amata da Bergoglio. E in cui il primo
Dicastero non è più, com'era prima, quello per la Dottrina della
fede (cioè per la conservazione dell'ortodossia), ma quello per
l'Evangelizzazione, cioè appunto per la missionarietà della
Chiesa.
"Ma senza proselitismi, il proselitismo non è cristiano",
ripete ad ogni passo Francesco, che al terzo posto ha poi messo
il Dicastero per la Carità, l'ex Elemosineria apostolica, con
cui soccorre ogni situazione di povertà e disagio vicina e
lontana, in tutte quelle "periferie", non solo "geografiche" ma
anche "esistenziali", di cui ha parlato fin dalle Congregazioni
generali pre-Conclave. Con un accento particolare: quel "non
abbiate paura della tenerezza", che scandì fin dalla sua messa
d'insediamento, il 19 marzo del 2013.
Intanto, in attesa della definitiva svolta "sinodale",
attraverso le due previste Assemblee generali dei Vescovi, una
nell'ottobre 2023 e la seconda nell'ottobre del 2024, l'altro
tratto caratterizzante che si manifesta dell'attuale Papa, quasi
paradossale per un capo della Chiesa universale, è il suo
anti-clericalismo, essendo per lui il "clericalismo" una
"perversione del sacerdozio" e "la rigidità una delle
manifestazioni". "Il clericalismo condanna, separa, frusta,
disprezza il popolo di Dio", diceva Francesco il 5 settembre del
2019 in dialogo con i gesuiti di Mozambico e Madagascar. Ed è da
lì, da questa chiusura e "auto-referenzialità" che fanno
"ammalare la Chiesa", la fanno sentire superiore e immune ad
ogni giudizio, che per Bergoglio ha origine qualsiasi sorta di
abuso: da quelli di potere ai finanziari, fino all'immonda piaga
degli abusi sessuali sui minori. (ANSA).