Perquisizioni vengono eseguite da
finanzieri del comando provinciale di Bari nei confronti di 10
persone, amministratori, procuratori, dipendenti e collaboratori
pro tempore di Acciaierie d'Italia S.p.A., società, attualmente
in amministrazione straordinaria, che gestisce lo stabilimento
ex Ilva di Taranto, indagati per il reato di truffa in danno
dello Stato. L'inchiesta riguarda una presunta falsificazione di
dati relativi alle emissioni di CO2 riconducibili alle attività
di Adi s.p.a. e poste in essere in epoca precedente la
sottoposizione della società alla procedura di amministrazione
straordinaria. Le perquisizioni vengono eseguite nelle province
di Taranto, Bari, Milano, Monza-Brianza e Modena sulla base di
un decreto di perquisizione personale e locale emesso dalla
procura della Repubblica di Taranto.
L'indagine riguarda il funzionamento del Sistema Europeo di
Scambio di Quote di Emissione (Eu Ets), istituito dalla
Direttiva 2003/87/CE (Direttiva Ets), che costituisce il
principale strumento adottato dall'Unione Europea per ridurre le
emissioni di gas a effetto serra nei settori energivori in base
al protocollo di Kyoto. Il sistema, precisano gli investigatori,
si basa essenzialmente sul meccanismo del cosiddetto cap&trade
che fissa un tetto massimo al livello complessivo delle
emissioni consentite a tutti i soggetti vincolati, permettendo
ai partecipanti di acquistare e vendere sul mercato diritti a
emettere quote di CO2 secondo le loro necessità nel rispetto del
limite stabilito. Il meccanismo ha lo scopo di mantenere alti i
prezzi dei titoli per disincentivare la domanda e, pertanto,
indurre le imprese europee ad inquinare meno.
Secondo quanto accertato sinora nell'inchiesta, in relazione
alla restituzione delle quote CO2 consumate nell'anno 2022 e
all'assegnazione di quelle a titolo gratuito per l'anno 2023,
Acciaierie d'Italia avrebbe attestato nel piano di monitoraggio
e rendicontazione falsi quantitativi di consumi di materie prime
(fossile, gas, ecc.), di prodotti finiti e semilavorati e
relative giacenze, così alterando i parametri di riferimento
("fattore di emissione" e "livello di attività"). Adi avrebbe
inoltre dichiarato al registro Eu Ets (Sistema europeo di
scambio di quote di emissione) un numero di quote CO2 inferiore
a quello effettivamente emesso, inducendo in errore il comitato
ministeriale, che perciò assegnava gratuitamente allo
stabilimento ex Ilva di Taranto, per l'anno 2023, un ammontare
di quote superiore a quello effettivamente spettante.
In questo modo, secondo l'accusa, gli indagati avrebbero
procurato un ingiusto profitto per ADI consistito, da un lato,
in un risparmio di spesa, realizzato con la restituzione allo
Stato (nello specifico, al Comitato ministeriale) di quote CO2
inferiori a quello che la società avrebbe dovuto restituire,
dall'altro, nei maggiori ricavi determinati dal riconoscimento
di quote di CO2 gratuite in misura eccedente con pari danno del
mercato primario delle "aste pubbliche" dello Stato.
Nelle perquisizioni si cerca documentazione amministrativa e
contabile per ricostruire le procedure esaminate per stabilire
l'esatta quantificazione delle quote effettivamente spettanti.
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