"La palazzina Laf ha rappresentato
non solo per Taranto, ma per tutta l'Italia, una vergogna. La
vicenda che ha riguardato un gruppo di lavoratori relegati in un
luogo fatiscente perchè ritenuti scomodi o sindacalizzati o che
non accettavano il demansionamento doveva rappresentare in tutto
lo stabilimento un esempio per condizionare anche le scelte
aziendali. Noi lavoratori dovevamo abbassare la testa e subire
le imposizioni del datore di lavoro, condizioni chiaramente
fuori legge". Così Claudio Virtù e Giuseppe Palma, due tra i 79
dipendenti del Siderurgico che nel 1997, all'epoca della
gestione dei Riva, furono confinati in una struttura definita
lager, la palazzina Laf (Laminatoio a freddo), senza svolgere
alcuna mansione.
Virtù e Palma hanno portato la loro testimonianza nel corso
dell'incontro dal titolo "Taranto, la storia oltre il cinema.
Palazzina Laf" che si è svolto nella sala Agorà della biblioteca
civica Acclavio di Taranto. Al dibattito, moderato dal
giornalista Tonio Attino, erano presenti Alessio Coccioli
(attualmente procuratore a Matera), il magistrato che all'epoca
condusse l'inchiesta giudiziaria con il procuratore aggiunto
Franco Sebastio, scomparso a gennaio dell'anno scorso; Carlo
Vulpio, inviato del Corriere della Sera, che nel 2009 dedicò il
libro "La città delle nuvole" a Taranto, al suo dramma
ambientale e umano; e Marisa Lieti, la psichiatra che seguì i
lavoratori e denunciò pubblicamente la loro situazione di
'confinati'.
L'inchiesta portò alla condanna definitiva di undici imputati
(dirigenti, capi e il proprietario dell'Ilva, Emilio Riva) per
tentata violenza privata. "Sicuramente - ha detto il procuratore
Coccioli - è stata una indagine unica. All'epoca era un fatto
nuovo. C'erano pochissimi casi analoghi. Un caso unico perchè si
è parlato tanto di mobbing ed effettivamente lo era, ma non fu
trattato come mobbing, almeno all'inizio. Il problema era
proprio la valutazione del reato perchè i lavoratori erano
pagati sostanzialmente per non fare nulla, costretti a una
situazione di ozio forzato. Mi colpì la dichiarazione di uno di
quei lavoratori. Gli chiesi: ma lei cosa lamenta se viene pagato
lo stesso? Mi rispose: io non sono un gambero. Io voglio andare
avanti, non indietro. Sono un lavoratore specializzato. Non
possono togliermi la dignità".
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