Le autorità italiane mettono a
rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, l'area
tra le province di Napoli e Caserta inquinata per decenni da
interramento di rifiuti tossici, discariche abusive e roghi di
immondizia. Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti umani,
accogliendo parte delle decine di ricorsi presentati a
Strasburgo da residenti e associazioni del territorio: ora
l'Italia ha due anni per introdurre misure che risolvano
l'emergenza in un territorio dove l'impennata di malattie gravi
e decessi è stata confermata anche da studi scientifici
ufficiali.
La Corte ha riconosciuto un rischio di morte
"sufficientemente grave, reale e accertabile", che può essere
qualificato come "imminente". Per i giudici, tra l'altro, è
mancata una "comunicazione completa e accessibile, per informare
il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o reali per
la salute e sulle azioni intraprese per gestire tali rischi.
Anzi, alcune informazioni sono state coperte per lunghi periodi
dal segreto di Stato", scrive la Cedu con riferimento alle
dichiarazioni che il pentito Carmine Schiavone rese già nel 1997
alla Commissione ecomafie sull'interramento dei rifiuti tossici
("Entro vent'anni rischiano tutti di morire"), desecretate solo
nel 2013.
Il primo a esultare oggi è il parroco di Caivano, don
Maurizio Patriciello, da sempre in prima linea nelle proteste
per la bonifica: "Quante calunnie abbiamo dovuto subire; quante
minacce, derisioni, offese". Grande soddisfazione, venata di
amarezza, per i ricorrenti che dedicano la sentenza alla memoria
delle vittime dell'inquinamento.
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