Mentre fa notizia e stupisce per la bellezza la scoperta della sala per banchetti della Villa del Tiaso a Pompei, che ne fa quasi una seconda Villa dei Misteri grazie ai suoi affreschi lungo tre pareti (la quarta era aperta sul giardino) legati al culto dei misteri dionisiaci che tanto spazio ebbero nella cultura romana, arriva in libreria il saggio di Walter F. Otto proprio su 'Dioniso' (Adelphi, pp. 286 - 16,00 euro - Traduzione di Giampiero Moretti). Il volume fa seguito al celebre 'Gli dei della Grecia' dello stesso studioso, storico delle religioni e filologo scomparso nel 1958, da cui Dioniso era stato tenuto fuori per la sua particolarità di dio dell'ebbrezza, della gioia di vivere e, attraverso le maschere, assieme dio della violenza, degli impulsi omicidi, laceranti e tragici.
"In lui sono comprese tutte le potenze terrene che fanno disperare e ridere", sintetizza Andrea Carandini, commentando il ritrovamento di questi nuovi affreschi pompeiani e sottolineando come "a Pompei si vivesse nella cruda realtà e nella fantasia di decorazioni, scene e miti, potendo così sognare anche da svegli" e vivere l'eterna ambiguità e complessità esistenziale. Ricordiamo quindi che Otto era studioso e, se vogliamo, cantore della grande vitalità greca classica dagli stimoli culturali inesauribili, legata a un'esperienza del divino unica nella storia della civiltà. Non a caso la tragedia greca, con tutto ciò che simbolicamente e poeticamente comporta per noi da sempre, come ha intuito Friedrich Nietzsche appunto nel suo 'La nascita della tragedia', nasce dalle forze contrapposte che governano lo spirito degli uomini, l'apollineo, che è la bellezza, l'armonia della razionalità, e il dionisiaco, forza dell'irrazionale della musica e del perdersi. E ricordiamo come questo conflitto sia stato analizzato da un altro studioso, Giorgio Colli, in una saggio intitolato proprio 'Apollineo e dionisiaco'.
L'iniziazione dionisiaca per Otto dà la forza metafisica - come fa notare Giampiero Moretti nella postfazione al libro - per compiere il duplice percorso che procede dal divino per 'afferrare' l'umano, e dall'umano (se predisposto a farsi 'afferrare') al divino. Comprendere Dioniso, viverne la complessità e doppiezza, era cosa da iniziati, perché "il fragore con cui avanza Dioniso stesso e il suo seguito divino, il fragore provocato dalla folla umana invasata dal suo spirito - scrive Otto - è un autentico simbolo dell'irrompere del soprannaturale. Col terrore che, allo stesso tempo, è anche estasi, con un'eccitazione che somiglia alla paralisi, con la sopraffazione di ogni normale e consueta impressione sensibile, improvvisamente l'inudito fa il suo ingresso nell'esistenza. E nell'attimo del suo culmine è come se il folle frastuono fosse in realtà il più profondo silenzio".
Il culto nasce dapprima come orfico e poi diviene furia, rito orgiastico durante le feste in cui si celebrava il dio attraverso dei balli agitati sino a perdere il senso di sé, raggiungere lo stato di ebbrezza i cui ritrovare il proprio io primordiale, naturale, tanto che a Roma lo si finiva per identificare spesso col dio Bacco. Diverse le storie legate alla sua origine, ma quelle prevalenti lo vogliono figlio di Zeus, in un caso fatto ingravidando sotto forma di serpente Persefone, in un altro rapendo invece Semele, figlia di Armonia e Cadmo. In tutti i casi, la sua fine è quella di essere sbranato dai Titani istigati dalla gelosia di Giunone, moglie di Giove.
I riti dionisiaci, e ce lo confermano gli affreschi appena ritrovati a Pompei, il cui ciclo ha come momento culminante la figura di una bella donna che guarda verso la sala e, in compagnia di un sileno, sta per essere iniziata ai misteri mentre in costume ballano fauni e menadi con al polso braccialetti preziosi della padrona di casa, questa e le altre donne li seguono sino a essere anch'esse ebbre: soltanto così - per Carandini - le matrone potevano ritualmente, non socialmente, emanciparsi dal più duro patriarcato romano.
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