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"Da 60 anni la domanda che mi viene fatta in maniera ricorrente è cosa ho provato quel giorno. La risposta che fornisco di solito spiazza. Per noi fu come la fine del mondo. E un evento del genere non si può descrivere. Solo chi c'era può capire". A parlare è Italo Filippin, 79 anni, già sindaco di Erto e Casso (Pordenone), da molti anni diventato il più apprezzato "informatore della memoria" per le quasi 100mila persone che ogni anno vengono a visitare la Diga del Vajont, gestita dal Parco naturale delle Dolomiti friulane. "Avevo 19 anni - ricorda in un'intervista all'ANSA - e mi trovavo nell'unica parte del paese che non è stata toccata dal Disastro. Ero nel centro storico di Erto. Udimmo un boato inenarrabile. Si sentirono anche urla e pianti. Poi nulla più. Tutte le strade erano interrotte e, quindi, fino alla mattina successiva abbiamo vissuto con l'apprensione, ma anche con la speranza. Le luci del giorno sono state come uno schiaffo: i più arditi, che si erano arrampicati in zone da cui si poteva vedere la valle sottostante, sono tornati con le lacrime agli occhi. I loro racconti sembravano quasi inverosimili: 'Non c'è più nulla, l'acqua ha portato via tutto, Longarone non esiste più'". "Assieme alla luce arrivarono anche i primi soccorsi - prosegue Filippin - noi eravamo più fortunati, perché dal versante friulano i collegamenti non erano andati distrutti. In ogni caso, prima ancora che salissero le colonne mobili della valorosa Brigata Julia giunsero gli elicotteri americani, di stanza a Vicenza e ad Aviano, che evacuarono le borgate di Pineda e Prada, le quali ormai erano sospese sul nulla, inaccessibili via terra. Anche i pochi superstiti di Casso furono portati in salvo dal cielo. Una delle cose più singolari del Disastro fu il numero ridottissimo dei feriti. Chi venne travolto dall'acqua, morì.
La percentuale di coloro che si salvarono fu infinitesimale. Per questo gli obitori erano pieni mentre gli ospedali ospitarono pochi pazienti. Alcuni di questi morirono peraltro nelle settimane successive. Il bilancio ufficiale fu di 1.910 persone morte, tra cui 487 di età inferiore ai 15 anni". E fu per questo che quella tragedia fu "ribattezzata la strage dei bambini". A quel 9 ottobre 1963 seguirono anni drammatici, per molti di esilio forzato. Nel 1971 nacque Vajont, il più piccolo comune per dimensioni in Italia. E' vasto un solo chilometro quadrato. Fu Maniago a cedere quell'area, apposta per ospitare gli sfollati: sorge a una quarantina di chilometri dal lago omonimo inghiottito dalla frana che scese dal monte Toc. Chi non volle spingersi in pianura, cercò di ripartire tra le mille difficoltà che il nome, Erto, ripido, porta storicamente con se. Situato a 800 metri sul livello del mare, dopo la frana era diventato un luogo quasi inaccessibile. Tra i coraggiosi, Italo Filippin fu eletto sindaco nel 1973, contribuendo alla prima parte della ricostruzione e partecipando attivamente al processo che il suo Comune intentò contro Enel. Tra i ricordi dell'ex primo cittadino, c'è anche quello di un Mauro Corona giovanissimo. "Aveva 13 anni: anch'egli era in una zona risparmiata dall'acqua. Qualche settimana dopo venne mandato a studiare in collegio a Pordenone. A lui, a Paolini, a Martinelli dobbiamo molto: hanno scongiurato il rischio dell'oblio. Senza quelle casse di risonanza, magari lunedì non ci sarebbe il Presidente della Repubblica a onorare le vittime 60 anni dopo. Perché lo Stato, per moltissimo tempo, preferì guardare di lato, imbarazzato". Ma "per fortuna ci sono Capi di Stato come Ciampi e Mattarella che sanno testimoniare la vicinanza delle istituzioni alla gente".
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