Israele è di là dalla
collina, e dista in linea d'area meno di due chilometri. Nel
mezzo di quella terra di confine che è già diventata teatro di
scontro diretto tra le milizie sciite di Hezbollah e i soldati
dello Stato ebraico, il villaggio cristiano di Rmeish rimane
sospeso tra la vita e la rovina che già lo assedia intorno. I
suoi abitanti, fino a qualche settimana fa, erano più di 11mila.
Ora ne sono rimasti meno di 5mila. In tanti, soprattutto le
famiglie con persone malate e bambini piccoli, si sono uniti
all'esodo di un milione di nuovi sfollati libanesi, fuggiti
verso aree considerate più "sicure". A raccontare la situazione
è Fides.
Quelli che non sono andati via vogliono rimanere e andare
avanti, nonostante tutto. Pregano ogni giorno insieme, come
un'isola di pace sospesa in mezzo alla tempesta. Abuna Toni
Elias, uno dei 4 sacerdoti maroniti del villaggio, la sera
continua a vigilare insieme a una trentina di giovani le strade
di accesso al villaggio, per poter avvisare tutti in caso di
pericolo. "Questi ragazzi - dice all'agenzia dei missionari - io
li chiamo 'sentinelle del mattino'. Sono come dei vigilanti
pacifici e disarmati, che controllano cosa succede intorno al
villaggio per vedere se ci sono pericoli".
Quando i miliziani sciiti di Hezbollah hanno cominciato a
lanciare razzi su Israele - racconta padre Toni - "In parecchi
abbiamo alzato la voce per dire che nessuno voleva questa
guerra, e che non si aiutavano i palestinesi a Gaza da qui, e in
questo modo". E quando i lanci d'artiglieria israeliana sono
arrivati sulle terre coltivate intorno a Rmeish, gli abitanti,
con la mediazione dell'esercito libanese, hanno chiesto ai
miliziani di Hezbollah di non lanciare i loro razzi dal
territorio del loro villaggio. Non volevano che la risposta dei
missili israeliani finisse sulle loro case, in una guerra che
non era la loro.
Due settimane fa, quando l'esercito israeliano ha iniziato in
Libano l'operazione "Ordine nuovo", tanti villaggi sciiti e
cristiani vicini a Rmeish sono stati devastati. "Ormai ci sono
tante rovine, tanti posti distrutti come Gaza, anche intorno a
noi" sottolinea padre Toni. E racconta di come siano arrivati
dall'esercito israeliano gli ordini di evacuazione anche ai
villaggi cristiani. Ora, lungo tutta la fascia di confine, gli
abitanti sono rimasti solo a Reimsh e in un altro villaggio
cristiano.
Padre Toni Elias ammette che "non si riesce a capire cosa c'è
dietro tutto questo, e dove ci porterà". Riguardo ai rapporti
con gli sciiti, ricorda la convivialità buona che si viveva tra
i diversi villaggi prima della nuova guerra. "Siamo dello stesso
popolo, non possiamo entrare in conflitto con loro", ripete. A
Rmeish - conclude il sacerdote maronita - "ora siamo come una
barchetta nell'Oceano in tempesta".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA