Un'amicizia improvvisa, nata a una
fermata dell'autobus, diventa lo specchio per raccontare due
giovani donne in un momento cruciale della loro vita: una sta
affrontando (o cercando di ignorare) la malattia, l'altra viene
dall'Ucraina in guerra. È il mondo messo in scena da Ciro De
Caro in Taxi Monamour, dramedy intensa e intima con Rosa
Palasciano, anche coautrice della sceneggiatura, e Yeva Sai
(Mare fuori), unico film italiano in gara alle Giornate degli
autori, sezione autonoma e parallela della Mostra del Cinema di
Venezia, per arrivare in sala dal 4 settembre con Adler
Entertainment.
"Sono due donne che hanno molto in comune anche se forse non
se ne rendono conto - spiega all'ANSA il regista -. Il loro
incontro arriva nel momento più giusto, le mette di fronte alla
possibilità di una svolta. Chi lo sa se ne approfitteranno per
coglierla o proseguiranno sulla loro strada". Anna (Palasciano,
nominata ai David di Donatello come migliore attrice per il film
precedente di De Caro, Giulia), appartenente a una famiglia
borghese, non ha trovato una sua strada, lavora come cameriera e
non ha detto a nessuno della grave malattia che le hanno
trovato. Anche perché, lei stessa, non ha ancora deciso come
affrontarla. Nadiya (Sai) invece è una giovane ucraina, che
all'inizio del conflitto è andata a vivere dagli zii a Roma,
dove lavora come badante. Ora però la ragazza, nonostante i suoi
famigliari cerchino di dissuaderla, vuole tornare a casa. Dopo
il primo incontro casuale, le protagoniste si trovano a
costruire un rapporto di confronto e intimità crescente.
"L'idea per la storia a Rosa e a me è venuta quando abbiamo
visto, un giorno su una spiaggia, due donne non italiane che
pareva appartenessero a due mondi diversi, ma stavano facendo
insieme uno stranissimo picnic. Questo ci ha iniziato a far
fantasticare su come la vita da quando nasciamo possa mettere
insieme una serie di coincidenze capaci di portare due persone,
provenienti da due posti diversi del mondo ad incontrarsi e
riconoscersi". Nel film si trattano temi complessi e attuali, ma
"non volevamo usarli in maniera ricattatoria o troppo spudorata.
Siamo partiti da Anna che trova nella malattia il possibile
motore di un cambiamento. L'idea di includere il conflitto in
Ucraina è venuta dopo. Avevamo scritto la storia prima della
guerra, e in quella stesura Nadiya non era ucraina. Poi è
scoppiato il conflitto e abbiamo pensato come il cinema abbia
anche il dovere di raccontare il mondo in cui viviamo".
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