Nel cerchio, in quella figura
definita da una linea che non ha inizio né fine, governata da
regole geometriche, Marina Apollonio ha saputo trovare la
libertà espressiva di un fare che l'ha portata ad essere tra i
maggiori interpreti dell'arte ottica e cinetica internazionale.
All'artista, nata a Trieste nel 1940 ma presto trasferitasi a
Venezia per seguire il padre Umbro Apollonio, critico d'arte e
direttore dell'Archivio della Biennale dal 1949 al 1972, la
collezione Peggy Guggenheim, a Venezia, ha dedicato una mostra,
a cura di Marianna Gelussi, in programma fino al 3 marzo
prossimo, che presenta un centinaio di opere dagli anni Sessanta
a oggi (catalogo Marsilio Arte). È la prima grande personale che
una istituzione museale italiana dedica all'artista, ma non è
certo un caso che questo accada alla Guggenheim, visto che un
lavoro in alluminio di Marina Apollonio fu acquistato da Peggy
nel 1968, dopo aver visitato una sua personale nella Galleria di
Paolo Barozzi.
"Peggy - racconta la direttrice Karole P.B. Vail - rimase
molto colpita dal suo lavoro e le commissionò Rilievo n. 505,
opera che tutt'oggi fa parte della collezione permanente, a
riprova, ancora una volta, del suo sostegno alle giovani
avanguardie italiane". Oltre il cerchio' è una sorta di viaggio
in ricerca all'insegna della sperimentazione "attorno e al di là
del cerchio, tra strutture e linee, diverse tecniche e
materiali, che spingono la forma oltre i limiti della superficie
e della cornice", creando così una dimensione dinamica dello
spazio e della percezione visiva dello spettatore, attraverso un
gioco di inganni ottici.
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