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Responsabilità editoriale di ASviS
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Goodbye, adieu, addio X. Sempre più testate, associazioni e artisti stanno manifestando il loro dissenso politico uscendo dal social network di Elon Musk. Come Le Monde in Francia, il Guardian nel Regno Unito o il Forum Disuguaglianze e Diversità in Italia, ma anche cantanti come Piero Pelù ed Elio e le Storie Tese, per citare qualche esempio. L’uso dei social per questioni politiche non è certo una novità, dal momento che sempre più in questi anni sono stati usati da rappresentanti politici come mezzo di propaganda, ma negli ultimi mesi hanno iniziato ad assumere un ruolo particolarmente rilevante. Quali i rischi e quali le opportunità per politici e cittadinanza? E come stanno trasformando la nostra cultura? Stiamo entrando nell’epoca della post-verità. Ma facciamo un passo per volta.
I social network possono offrire grandi benefici. Per i rappresentanti politici avere la possibilità di arrivare direttamente alle cittadine e ai cittadini, ricevendo a loro volta input dall’elettorato per migliorare la risposta politica, è un’occasione preziosa. Così come lo è poter comunicare in modo immediato e documentare rapidamente i fatti. Sul Corriere della SeraFabrizio Roncone ha sottolineato il boom sui social del sindaco di Roma Roberto Gualtieri: i suoi video, che vogliono raccontare la concretezza delle azioni politiche, negli ultimi due mesi hanno collezionato 16 milioni di visualizzazioni su TikTok e 20 milioni su Instagram. Così, con gilet catarifrangente e caschetto da operaio, alle prese con operazioni di bonifica di discariche abusive o l’apertura di cantieri, il successo del primo cittadino sul web ben incarna il nuovo storytelling politico e amministrativo che si sta diffondendo.
Piattaforme come Instagram e TikTok consentono anche di raggiungere più facilmente il pubblico giovane, che utilizza i social non solo per condividere foto e video virali, ma anche come fonte di informazione. Questi canali, dunque, possono essere usati per sensibilizzarli sui temi politici, aumentando la partecipazione giovanile alle elezioni e alle attività politiche. Will Media, per fare un esempio, è una community di quasi 3 milioni di follower (principalmente giovani) su otto piattaforme social, impegnata a generare consapevolezza su politica, società ed economia, attraverso eventi, video, storie e grafici, segnalando le fonti autorevoli di riferimento.
I social network hanno portato anche a un’ampia circolazione delle informazioni, offrendo nuovi spazi per la discussione politica e la partecipazione attiva ai dibattiti attraverso le funzionalità di interazione. È proprio qui, però, che si insinuano i rischi maggiori.
Secondo il Global risk report 2025 presentato al World economic forum, il rischio globale più preoccupante previsto nei prossimi due anni resta, come l’anno scorso, la disinformazione e la misinformazione (diffusione di notizie false in modo involontario), che si teme amplieranno anche le distanze sociali e politiche.
I social network possono favorire il rapido proliferare di fake news e disinformazione, influenzando negativamente la formazione dell’opinione pubblica. Ma soprattutto, attraverso le cosiddette “eco chambers” (camere dell’eco), gli utenti sono assimilati ad altri utenti con la stessa opinione, minando alla base la possibilità di sviluppare capacità critica rispetto alle proprie convinzioni. Una condizione che spinge le persone alla chiusura, limitando il dialogo costruttivo con chi la pensa diversamente e alimentando la polarizzazione. Il problema è che la diffusione di notizie false o manipolate e la polarizzazione si alimentano a vicenda, perché “questi strumenti (i social, ndr) col tempo sono diventati sempre più aggregatori di notizie la cui fonte è spesso incerta e in cui il confine tra opinioni e informazioni è sempre più sfumata” e “preferiamo credere alle cose che si accordano alla nostra mentalità, ai nostri valori o pregiudizi, senza preoccuparci che siano fondate o no”. È quanto sottolineato da Lee McIntyre, autore, ricercatore e accademico statunitense, secondo cui siamo entrati nell’epoca della post-verità, un tema che abbiamo illustrato in maniera approfondita in un articolo su FUTURAnetwork:
“Che le persone mentano, e che la politica usi la propaganda per perseguire i propri fini non è certo una novità. Per post-verità io però intendo qualcosa di molto diverso: un contesto in cui l’ideologia ha la meglio sulla realtà perché quale sia la verità interessa poco o niente. Quando si mente, si cerca di convincere qualcuno che quel che si sostiene è vero. Con la post-verità, tutto questo è irrilevante. Non occorre sforzarsi di ingannare nessuno. Non si devono costruire prove false. Quel che conta è avere la forza di imporre la propria versione, indipendentemente dai fatti. Basta ripetere concetti semplici e accattivanti, anche se infondati, perché a nessuno conviene verificarli”.
Si genera a questo punto un circolo vizioso: più aumenta la polarizzazione, più questa diventa solida sulla base di notizie che non ci interessa siano vere ma che devono confermare quanto sosteniamo, più crescono le manifestazioni di rabbia e offese contro chi la pensa diversamente, più chi le riceve si rinchiuderà nella propria nicchia. In un articolo su Internazionale, che illustra i risultati di una ricerca condotta su 15mila persone su come i social network alimentano divisioni e ostilità, emergono evidenze interessanti:
“I post sulla politica carichi di rabbia e offese sono generalmente scritti da persone più determinate a esprimere la propria posizione, più radicali rispetto al cittadino medio, a prescindere dall’obiettivo delle loro azioni (manifestare il proprio impegno, esprimere rabbia o convincere gli altri a sposare una causa politica). Anche quando rappresentano una piccola parte dei post sulle piattaforme, gli interventi moralistici e ostili tendono a essere promossi dagli algoritmi, che sono creati per diffondere contenuti capaci di attirare l’attenzione e innescare una risposta. I messaggi politici controversi corrispondono perfettamente a questa definizione. Di contro la maggioranza degli utenti, che di solito mantiene posizioni meno dogmatiche e più moderate, è anche più riluttante all’idea di farsi coinvolgere nelle discussioni politiche, che raramente premiano il ragionamento e la buona fede, e spesso degenerano in esplosioni di rabbia”.
Così troviamo persone più radicali e aggressive particolarmente coinvolte nei dibattiti politici sui social, mentre si percepisce una certa disaffezione da parte di chi è più moderato e incline al dibattito costruttivo. Questo solleva un allarme, perché si rischia di creare una spaccatura nella società lasciando i social “in pasto” a quella fetta di popolazione arrabbiata, incline ad alimentare una cultura dell’odio. Una situazione che, con la scelta di Mark Zuckerberg (proprietario di Facebook, Instagram, Whatsapp e Threads) di chiudere con la verifica dell’attendibilità delle notizie sui social per consegnare il fact-checking in mano alla comunità di Meta, rischia di aggravarsi ulteriormente. Nel mirino delle preoccupazioni, in particolare, ci sono le questioni di genere e migratorie. Secondo un’inchiesta di The Intercept, epiteti come “i gay sono dei freak” oppure “i messicani immigrati sono spazzatura” saranno consentiti dalla nuova politica di Facebook e le persone potranno anche dichiararsi “orgogliosamente razziste” e dire cose come “I neri sono più violenti dei bianchi”.
L’uscita di quotidiani, organizzazioni e artisti dai social network può diventare dunque un’arma a doppio taglio. Da un lato, rappresenta un importante gesto politico e un segnale forte. Il Guardian, il principale quotidiano progressista britannico, aveva lasciato il proprio profilo X pochi giorni dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni Usa, nel novembre 2024, per via dei “contenuti spesso inquietanti, promossi o trovati sulla piattaforma, incluse teorie cospirative di estrema destra e razzismo…Il nostro modello di business non si basa su contenuti virali adattati ai capricci degli algoritmi dei giganti dei social media, ma siamo finanziati direttamente dai nostri lettori”. Il direttore di Le Monde ha motivato l’uscita del quotidiano francese da X, nel giorno dell’Inauguration day del presidente Usa, con l’“intensificarsi dell’attivismo” politico di Elon Musk e della “maggiore tossicità” degli scambi, impegnandosi però anche a “raddoppiare la vigilanza su altre piattaforme, in particolare TikTok e quelle di Meta”. In Italia, il Forum Disuguaglianze e Diversitàha annunciato l’uscita da X a partire dal 16 febbraio perché “l’acquisizione da parte di Musk ha trasformato la piattaforma in una potente macchina di propaganda, basata sulla diffusione sistematica di notizie false e sull’uso di un linguaggio odiosamente aggressivo, e finalizzata agli obiettivi di potere del suo proprietario”.
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di Flavia Belladonna
Responsabilità editoriale di ASviS
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