Quando il ceo è una donna e il cda
a prevalenza maschile scende il rischio di fallimento. "Le
imprese più performanti sono quelle con un bilanciamento di
genere ai vertici" conclude Cerved Rating Agency dopo aver
analizzato oltre 9.500 società di capitali e osservato che il
rischio di default è inferiore al 3% contro il 6,79% di aziende
a totale guida maschile e il 7,29% di quelle a totale guida
femminile. Situazione intermedia (4,43%) laddove il CdA ha
un'ampia rappresentanza di donne e il ceo (o amministratore
unico) è uomo.
Le più virtuose si trovano in Valle d'Aosta (23,33%), segue
il Friuli-Venezia Giulia (21,66%), il Piemonte (20,62%), la
Liguria (18,98%), la Lombardia (17,36%), l'Emilia Romagna
(17,23%), la Toscana (16,55%) e il Veneto (15,64%). Al
contrario, la maglia nera va alla Calabria, appena il 5,08%
presenta un bilanciamento di genere ai vertici (nonostante il
livello di rischio per queste aziende sia praticamente la metà,
da 8,62% a 4,24%), in Sicilia il 5,74%, in Basilicata il 6,12%,
in Puglia il 6,40%, in Molise il 6,45% (anche qui, il rischio di
default scende dall'8,28% al 2,51%) e in Campania il 7,14 per
cento.
Gli stessi meccanismi si ritrovano anche nelle imprese
quotate, dove le probabilità di default salgono fin quasi al 5%
nelle società senza gender-balance, contro il 2% delle altre.
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