Aziende leader nell'industria della
moda in Australia hanno rinnovato l'appello ad applicare
regolamenti più stretti sul vestiario importato dall'estero e
ribadiscono che la quantità di tessuti sintetici che entrano nel
paese è insostenibile. Ed è causa di un 'fashion waste problem',
di inquinamento da tessili sintetici, con 227 mila tonnellate
all'anno di scarti da abbigliamento. L'Australian Fashion
Council guida lo sviluppo di una struttura di 'industria
circolare' della moda, intesa a ridurre le centinaia di
tonnellate di scarti che si accumulano oggi anno nelle
discariche. Lo schema mira a incoraggiare i commercianti a
disegnare vestiario prodotto con fibre naturali, oltre a
promuovere il riciclaggio di tessili sia a livello di industria
che tra i consumatori. Ha ricevuto di recente dal governo
federale un sussidio di un milione di dollari australiani (610
mila euro) per il suo sviluppo e si prevede sarà operativo entro
luglio 2024. Le aziende leader avvertono tuttavia, che
l'iniziativa locale può essere compromessa dall'influenza dei
colossi di fast fashion come la cinese Shein, che aggiunge ogni
giorno tra 6000 e 10 mila nuovi stili al suo sito web. Con
marche popolari in Australia, specie fra la generazione Z.
"E' necessario allontanarsi completamente dal modello
commerciale di Shein e affermare che non è accettabile", ha
detto la presidente dell'Australian Fashion Council e
sostenitrice della moda sostenibile Leila Naja al Sydney Morning
Herald. "In Australia ci rifiutiamo l'importazione di 'droghe
illecite' e abbiamo anche la capacità, come società e come
governo di fermare tutto questo", ha aggiunto. Secondo le stime
oltre il 52% di nuovi abiti importati in Australia nel 2019
erano in poliestere, che emette CO2 durante la produzione ed è
difficile da riciclare. Il basso costo di questi indumenti
incoraggia gli acquirenti a comprare più articoli rispetto a
quanti ne acquisterebbero in un negozio, sottolinea Leila Naja.
Oltre alla scelta di materiali, sono state sollevate
preoccupazioni sulle condizioni in cui i grandi dettaglianti
online di fast fashion producono il vestiario. Il rapporto di
sostenibilità riporta che oltre l'80% delle fabbriche e dei
magazzini hanno livelli di rischio "mediocri" o "pessimi", che
richiederebbero un'"azione correttiva". Lo scorso anno
l'Australia si è unita ad altri paesi introducendo una legge
sulla schiavitù moderna che considera responsabile nella loro
catena di forniture.
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