Dalle proteste ecologiste ispirate a Greta Thunberg fino ai piccoli gesti quotidiani, aumentano i segnali di attenzione verso la salute dell’ecosistema e si afferma la consapevolezza che le sorti del pianeta dipendono molto da noi e non da un ipotetico “altro”. I consumi alimentari, e tutto quello che ruota attorno a essi, sono uno dei fattori che più impattano sull’ambiente. Dal seme alla tavola: la filiera è lunga, articolata e ci riguarda tutti. Per questo è importante valutare gli stili di vita anche in base alla loro ecosostenibilità. L’allevamento intensivo è una delle principali fonti di inquinamento terrestre e determina importanti alterazioni del clima del nostro pianeta: basta 0,01m2 di terreno per produrre un grammo di proteine ricavate, per esempio, da piselli o fagioli, ma ne serve 1m2 per ottenere la stessa quantità da ovini e bovini.
I Vegani e i Vegetariani, con la loro filosofia essenziale, contribuiscono alla tutela delle risorse naturali, e non sono i soli. I Flexitariani, un movimento in rapida crescita, applicano un credo meno rigido, ispirato a una dieta che abbina alle proteine vegetali anche quelle animali ma in percentuale molto ridotta. Salveranno il mondo? Ecco un analisi di FutureBrand sul tema.
In Italia, dati Eurispes, il numero totale di Vegetariani e Vegani è cresciuto del 7,3% rispetto al 2018. Secondo il rapporto “Healthy Food Delivery” di Just Eat, negli ultimi sei mesi le richieste di piatti sani a domicilio è cresciuta di oltre il 150% in Italia. La domanda cresce e i brand più veloci a interpretare i cambiamenti dei consumi stanno già sperimentando prodotti e soluzioni per conquistare Vegani, Vegetariani e Flexitariani. Per esempio, Veggie Pret, il brand di healthy fast-food della catena inglese Pret A Manger, si sta estendendo nella City londinese, prendendo il posto dei ristoranti EAT, appena entrati a far parte del gruppo per acquisizione. Wicked Kitchen, la linea di Tesco di piatti pronti vegani creati dallo chef Derek Sarno, ha vinto il PETA Food Award 2018, raggiungendo 4 milioni di pranzi venduti nel mese successivo al lancio.
A cambiare, però, non sono solo i consumi alimentari, Vegani, Vegetariani e Flexitariani impongono cambiamenti anche ad altri settori come, per esempio, la moda. Orange Fiber, una start up tutta italiana, produce tessuto ricavato dalla fibra delle arance di scarto. Ferragamo ha già realizzato una capsule collection con la nuova fibra. In Thailandia alcuni supermercati hanno sostituito la plastica usata per confezionare i prodotti nel reparto ortofrutta con le foglie di banano. L’elenco di iniziative ecosostenibili è lungo e dimostra come tutti i settori siano chiamati in causa.
Tornando al settore alimentare: basta la drastica diminuzione dei consumi di carne per salvare il pianeta? Per nulla. Mangiare sano non è sufficiente, anzi, può addirittura essere controproducente per l’ambiente. Usando il calcolatore sviluppato da BBC, si scopre quanto costa in termini di inquinamento addentare, per esempio, una normale mela (https://www.bbc.com/news/science-environment-46459714). Compilando i campi richiesti, l’algoritmo rivela in pochi secondi qual è l’impatto sull’ambiente di un’abitudine alimentare considerata sana. I risultati sono inquietanti: provare per credere. Servono quindi acquisti più consapevoli. In questo senso, alcune risposte concrete arrivano dalla grande distribuzione, Casino, la catena francese della GDO, lo scorso novembre ha installato una serra in uno dei suoi punti vendita dove vengono coltivate e direttamente vendute le erbe aromatiche. Si prende il numero e un addetto raccoglie e consegna il bouquet di odori desiderato. Sempre in Francia, ha fatto scuola l’esperimento di Intermarché con la linea “Moche”: frutta e verdura buona ma esteticamente brutta, salvata dalla pattumiera per diventare una leva di marketing vincente e sensibilizzare sullo spreco di cibo.
È cruciale che i brand e le insegne della distribuzione si impegnino a realizzare azioni più concrete e meno di facciata. L’attenzione è ancora interamente rivolta a equazioni tipo superfood = benefici per la salute, ma si omette di dire che, per esempio, le preziose bacche di Gojji per arrivare sulla nostra tavola hanno viaggiato dalla Cina e sono state imballate con materiale accoppiato non riciclabile. Vantaggi per l’ambiente? Nessuno, anzi.
Il consumatore va aiutato a conoscere le logiche che stanno dietro alle sue scelte, perché possa guardare oltre la dieta vegana o flexitariana e agire consapevolmente. Ai brand viene chiesto di assumere una posizione netta e di sforzarsi ad attuare politiche più serie e concrete. Siamo di fronte a questioni tangibili, che vanno risolte cambiando abitudini e facendole cambiare. Whole Food, per esempio, ha supportato il programma GAP (Global Animal Partnership, che stabilisce i 5 parametri del benessere animale e fornisce una certificazione a chi si impegna a rispettarli.
Secondo un’indagine dell’Osservatorio Giovani (Istituto Giuseppe Toniolo) l’80% degli intervistati si dichiara pronto a cambiare le proprie abitudini per contenere l’impatto dei cambiamenti climatici ed è disponibile a ridurre al minimo gli sprechi alimentari. I giovani sono pronti a fare la loro parte, ma hanno bisogno di strumenti. Qualsiasi gesto pro-ecosistema, se ben comunicato, può produrre effetti positivi anche sul business oltre che su Madre Natura. Il futuro è un impegno a cui non ci si può sottrarre.
La curiosità della mela rimane? Una mela al giorno, non solo non toglie il medico di torno, ma equivale in termini di produzione di gas serra in un anno a 51 km percorsi in auto; al riscaldamento per due giorni di un appartamento e, per averla polposa e croccante, servono ben 5.245 litri di acqua.
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