La loro fama era meritata: erano davvero mangiatori di uomini i due leoni africani dello Tsavo, divenuti famosi intorno al 1898 per i loro attacchi a decine di operai che lavoravano alla costruzione della ferrovia tra Kenya e Uganda. La prova arriva grazie al Dna estratto dai peli rimasti incastrati tra i denti dei due esemplari, che si trovano ora conservati in un museo.
Lo studio pubblicato sulla rivista Current Biology, guidato da Università dell’Illinois a Urbana-Champaign e Museo di Storia Naturale Field di Chicago, è infatti riuscito a identificare la firma di sei specie diverse di prede divorate dai leoni: accanto all’uomo, ci sono anche giraffe, gnu, zebre e due specie di antilopi, l’orice e il cobo. “
La parte più importante di questo studio è stata la messa a punto di un metodo per estrarre e analizzare il Dna proveniente da singoli peli trovati nei denti di esemplari di musei storici”, dice Alida de Flamingh dell’Università dell’Illinois, che ha guidato i ricercatori insieme a Tom Gnoske del Museo Field. “Questo metodo può essere utilizzato in molti modi – aggiunge de Flamingh – e speriamo che altri ricercatori lo applichino per studiare il Dna ricavato da teschi e denti di altri animali”.
I due leoni dello Tsavo presentavano lesioni dentali, come canini rotti, che hanno permesso ai peli delle loro prede di accumularsi nelle cavità esposte: questa è stata la fortuna dei ricercatori, che hanno potuto così estrarre il Dna rimasto, anche se molto degradato, riuscendo a ricomporre abbastanza frammenti da permettere l’identificazione di diverse specie, esseri umani inclusi. A sorprenderli, però, sono stati soprattutto i peli di gnu: dal momento che l’area di pascolo di questi animali più vicina si trova ad oltre 80 chilometri dal punto in cui i leoni sono stati uccisi, o gli gnu vivevano in zone diverse in quel periodo o i due felini hanno viaggiato più di quanto si pensasse in precedenza.
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