Il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il caso di un cittadino del Bangladesh che aveva richiesto la protezione internazionale.
Si chiede, in sostanza, se debba prevalere la normativa comunitaria oppure la legislazione italiana che, con il recente decreto sui 'paesi sicuri', è intervenuto per definire con una norma primaria ciò che fino a poche settimane prima era definito da un decreto interministeriale, con l'obiettivo di rendere operativi i centri di identificazione in Albania.
Una decisione che ha fatto riesplodere la polemica politica sul provvedimento del governo Meloni, con il vicepremier Matteo Salvini che attacca frontalmente i giudici bolognesi. Il rinvio del tribunale di Bologna si configura, sostanzialmente, come una richiesta di chiarimenti su due questioni: quale sia il parametro su cui individuare i cosiddetti paesi sicuri e se il principio del primato europeo imponga di ritenere che in caso di contrasto fra le normative prevalga quella comunitaria.
Una richiesta, come ha detto il presidente del Tribunale Pasquale Liccardo, che ha soprattutto l'obiettivo dell'applicazione uniforme del diritto dell'Unione Europea.
È proprio sulla definizione di "paese sicuro" che si fonda il lungo quesito che il tribunale ha inviato in Lussemburgo, entrando però anche nel merito e contestando il principio per cui potrebbe definirsi sicuro un Paese in cui la generalità, o maggioranza, della popolazione viva in condizioni di sicurezza, visto che il sistema di protezione internazionale si rivolge in particolare alle minoranze minacciate e perseguitate. Portando anche il paradosso che la Germania nazista fosse stata estremamente sicura per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca, ad eccezione di ebrei, omosessuali, oppositori politici e rom. Il tribunale chiede se, in base a questa definizione, l'ordinamento europeo continui ad essere prevalente sulla legge italiana.
E fa esplicito riferimento al caso del Bangladesh, partendo proprio dal procedimento che ha innescato il rinvio, ricordando che i casi in cui si riscontra la necessità di una protezione internazionale sono legati all'appartenenza alla comunità Lgbtqi+, alle vittime di violenza di genere, alle minoranze etniche e religiose, senza dimenticare i cosiddetti sfollati climatici. Lo spirito del decreto, suggerisce il tribunale, avrebbe quindi il carattere di "un atto politico, determinato da superiori esigenze di governo del fenomeno migratorio e di difesa dei confini, prescindendo dalle informazioni e dai giudizi espressi dai competenti uffici ministeriali in ordine alle condizioni di sicurezza del Paese designato".
"Se qualcuno, invece di essere in tribunale, si sente nella sede di Rifondazione comunista, si tolga la toga, si candidi alle elezioni e faccia politica", dice il vicepremier Matteo Salvini. "Non possono - prosegue - esserci giudici che smontano la sera quello che altri fanno la mattina. Siamo anche stufi di lavorare, come ci chiedono i cittadini, per portare più sicurezza, per avere poi qualche giudice comunista, questo è, che ritiene che i confini non servano e che le leggi non servano, e che ognuno ha diritto a fare quello che vuole". "Meloni e Piantedosi - dice Riccardo Magi di +Europa - stanno provando per l'ennesima volta a bypassare gli obblighi derivanti dal diritto europeo che loro stessi sanno essere insuperabili. Altro che vittime: sono loro che vanno deliberatamente allo scontro frontale con la magistratura". Sulla stessa linea anche Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana: "Quando non ci si vuole rendere conto della realtà, quando ogni occasione è buona per fare pessima propaganda, quando si decide di non rispettare le norme internazionali, è evidente che prima o poi ci si ritrova nei pasticci".
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