CANNES - Se Ken Loach, il rigoroso regista del cinema del reale, quello che non fa sconti ai drammi della società, anzi te li fa vedere tutti con chirurgica attenzione, dice che "la speranza è una questione politica", allora oggi dal festival di Cannes ci arriva un po' di fiducia. "Dobbiamo - dice all'ANSA - coltivarla con un piano sociale serio, unico modo per evitare di soccombere con la nuova destra", senza farci prendere dallo sconforto di questo mare di cattive notizie che è il nostro tempo.
Candidato alla Palma d'oro, sarebbe la terza (dopo quelle per Il vento che accarezza l'erba e Io, Daniel Blake), il record mai raggiunto da nessuno, questo vecchietto di 86 anni può dirci ancora tanto nonostante The Old Oak, in gara oggi, venga presentato come il suo ultimo film. "Ci sono cose più importanti di queste di cui parlare" dice sul tema ritiro e piace immaginare che sia un modo riservato per non dire addio.
L'incontro, insieme a Paul Laverty, il suo fedelissimo sceneggiatore, mezzo scozzese mezzo irlandese, più a sinistra di lui, è ancora una volta al Resideal alle spalle del Carlton. Non è un dettaglio superfluo: è un residence spartano, un tre stelle diciamo, nel regno del lusso sfacciato che è la Croisette di Cannes. Non tradisce se stesso e quello che è da sempre Ken Loach, cantore degli ultimi, capace di strapparti il cuore con piccole storie minime simbolo della Storia.
Accade anche in The Old Oak (distribuito come sempre da Lucky Red), la storia intorno ad un pub di uno sperduto villaggio nel nord est dell'Inghilterra, quando arrivano dei rifugiati siriani cui il governo ha concesso il visto. Gli abitanti, in crisi economica per il declino di un posto sviluppato intorno ad una miniera ora chiusa, li vedono come usurpatori, nemici, diversi che anziché tornare al loro paese sono lì aiutati dalle ong e non importa se sono bambini, donne sole, anziani che hanno vissuto le violenze del regime di Assad, da quelle parti nel Regno Unito è guerra di povertà e di ignoranza. Una giovane siriana, Yara (Ebla Mari), l'unica a conoscere un po' di inglese, aspirante fotografa, diventa la molla del cambiamento trovando sponda con il proprietario del pub, un loser, un perdente Tj Ballantyne (Dave Turner). "Solidarietà, forza, resistenza sono le parole del nostro tempo - dice Loach riferendosi allo stendardo inglese-siriano che diventa una sorta di manifesto della storia - ma ce ne sono anche altre che rievocano la vecchia tradizione sindacalista: aiutare, educare, organizzare, l'ultima è la più importante perché si può vincere solo se c'è coesione su un programma, se si lascia un vuoto è lì che si inserisce la destra come abbiamo visto in Ungheria, Grecia, Italia, e prossimamente Spagna".
Loach fa esempi concreti, come il problema del caro alloggi e della sanità pubblica al crollo, "se non c'è un programma chiaro e concreto non si riuscirà ad avere una rappresentanza politica che possa opporsi alla destra". E Laverty aggiunge: "Ci sono scelte che dobbiamo fare e presto per neutralizzare altre tre parole del nostro tempo: sfruttamento, odio, capri espiatori che sono quelle imposte dai potenti. Dovresti cercare di capire chi è il tuo nemico. Cosa sono i migranti oggi se non dei capri espiatori? La propaganda contro 'l'invasione' non fa che alimentare le posizioni fasciste ma invece dovremmo andare alle radici del problema". Sui migranti Loach (chissà se sa che è la posizione del governo italiano) è critico con la comunità europea, "Italia e Grecia hanno ragione, il peso di tutto questo non può essere portato solo da loro". Per Loach, un marxista vecchia maniera non dimentichiamo, è "lo strumento sindacale quello che ancora oggi può rappresentare la classe sociale dei lavoratori, costruire comunità e dunque fratellanza".
Senza rivelare troppo di The Old Oak la speranza sta nelle stesse storie dei migranti - nel film tranne la giovane Yara interpretata da Ebla Mari gli attori non sono professionisti ma veri rifugiati - "Quando ascolti da dove vengono, che cosa hanno visto i loro occhi - dice Laverty che è stato sulla rotta balcanica per un po' di tempo per incontrarli - quali indicibili violenze hanno subito o che carestie hanno vissuto, capisci che se non vogliamo lasciare i razzisti in Italia come altrove a parlare, se non vogliamo che ciò avvenga ancora c'è un solo modo: avere un piano chiaro di solidarietà, loro stessi ce lo chiedono, non lasciano che la disperazione prevalga". Un altro mondo è possibile, ci dice ancora Ken Loach, "alcune persone - conclude citando la Yara del film - pensano che la parola speranza sia oscena, è vero ma deve esserci, è una questione politica e non possiamo che costruirla".
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