"Non mi aspettavo che perfino oggi Rapito di Marco Bellocchio potesse causare polemiche. Sono d'accordo con quanto ha scritto il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, in un commento di oggi su Repubblica, che appare molto preoccupante e stupefacente questa critica da parte di alcuni settori del cattolicesimo al film, e la difesa d'ufficio di Pio IX. Soprattutto per le motivazioni che vengono date, secondo le quali Bellocchio avrebbe adulterato la realtà delle cose. Io ho visto il film e non mi risulta assolutamente". Lo dice all'ANSA Marina Caffiero, professoressa di Storia moderna all'Università La Sapienza di Roma, studiosa di storia sociale e culturale dell'Europa moderna, autrice di decine di libri fra i quali 'Battesimi forzati. Storie di ebrei, cristiani e convertiti nella Roma dei papi' e 'Legami pericolosi. Ebrei e cristiani tra eresia, libri proibiti e stregoneria'.
Il film di Bellocchio, "è anche molto misurato". Atti come "i battesimi forzati sono ingiustificabili non solo sul piano morale ma anche teologico". In Rapito "non c'è un attacco alla Chiesa. Credo che Bellocchio sia stato anche prudente, ad esempio nella rappresentazione del rapporto fra il bambino e il Papa. Nel film si vede come il rapimento possa aver generato nel bambino dei traumi ma il regista registra semplicemente quello che è avvenuto, anche quando si mostra Edgardo che non vuole tornare in famiglia dopo il 1870. E' quanto effettivamente accaduto: il ragazzo, ormai formato ed inserito nelle strutture della Chiesa Cattolica, ormai si sente estraneo alla sua casa. Io su questo tema ho trovato delle storie terribili. C'era un enorme lavoro sul far aderire questi bambini alla fede cattolica causandogli anche grandi malesseri. A questo allora non si badava ma oggi è un tema che scuote. Forse il turbamento che vedere questi fatti causa negli spettatori fa un po' paura ma sono vicende reali che hanno inciso sulla carne delle persone.
Il film non mi pare ne' esagerato ne' anticattolico" osserva. "Secondo me non si sono capite due cose - aggiunge la studiosa, presente con un saggio d'inquadramento storico (un altro è del collega Alberto Melloni) anche sul libro Rapito - Un film di Marco Bellocchio curato da Paolo Mereghetti -. Una è che le conversioni forzate e i battesimi forzati hanno rappresentato un punto delicatissimo del conflitto tra ebraismo e cristianesimo per secoli; non si parla quindi solo della vicenda Mortara, che tra l'altro è la penultima, nemmeno l'ultima, ci sono stati tantissimi casi precedenti. Il secondo punto è che dal Concilio Vaticano II in poi, la società italiana in particolare ha trovato un progressivo iter di riavvicinamento e dialogo fra ebraismo e cristianesimo, poi culminato in atti come La nostra Aetate, le varie dichiarazioni, la richiesta di perdono di Giovanni Paolo II per l'Inquisizione ma anche per la questione degli ebrei. Non mi pare che questo percorso possa essere messo in discussione, o almeno, mi auguro di no, con vecchie e antiche polemiche". La docente è "allibita che ancora si difendano i battesimi forzati". In alcune parti della Chiesa su questi temi "ancora non si vuole ammettere di avere sbagliato". La cosa importante da ricordare "è che è il caso Mortara nasce in un momento storico preciso, caratterizzato dalla ripresa di una cultura dei diritti umani, di rispetto dell'individuo, della fede, della libera coscienza e in un periodo in cui tutti questi momenti di emancipazione stavano andando avanti. In Italia nel 1848 era stata emanata dallo stato sabaudo la legge di emancipazione degli ebrei e dei valdesi, una strada poi seguita da altri Stati". Il verificarsi "solo 10 anni dopo, nel 1858, del caso Mortara era la dimostrazione molto netta del rifiuto di tutto questo da parte dello Stato pontificio e di alcuni settori del cattolicesimo, che non si facevano capaci del fatto che gli ebrei avessero gli stessi diritti universali".
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