(di Marzia Apice)
LUCA MAURELLI, ANATOMIA DI
UN'INGIUSTIZIA. IL PROCESSO A MARIO LANDOLFI (Guida Editori,
pp.220, 18 euro. Prefazione di Alessandro Barbano). La storia di
un'odissea giudiziaria, durata 16 anni, e del calvario privato e
politico di un uomo "sopravvissuto alla giustizia" che ancora
combatte la sua personale battaglia per la verità. Puntuale,
schietto e con il pregio di una narrazione dal ritmo serrato, il
libro "Anatomia di un'ingiustizia. Il processo a Mario
Landolfi", firmato dal giornalista Luca Maurelli, colpisce per
la capacità di andare in profondità nei meandri di una delle
vicende giudiziarie più complesse e controverse degli ultimi
anni. Con la prefazione di Alessandro Barbano, il volume
ricostruisce il caso dell'ex ministro delle Comunicazioni,
accusato di collusione con le cosche mafiose. Il racconto parte
dal 2023, quando Landolfi, dopo aver reso pubbliche tutte le
intercettazioni telefoniche di cui il Parlamento ha negato
l'utilizzo e aver rinunciato alla prescrizione, deve arrendersi
al verdetto della Cassazione che dichiara inammissibile il suo
ricorso contro la condanna a due anni inflittagli dalle Corti di
merito per la corruzione di un consigliere comunale "colpevole"
di dimissioni a un mese dalla scadenza del civico consesso di
Mondragone, sua roccaforte elettorale. Prosciolto dalle accuse
di collusioni mafiose e di favoreggiamento, Landolfi viene
quindi giudicato colpevole per il reato di corruzione. Politico
di primo piano, approdato in Parlamento nel 1994 (prima
presidente della Commissione di Vigilanza Rai, poi portavoce di
Alleanza Nazionale, quindi ministro delle Comunicazioni negli
anni del berlusconismo e della contrapposizione durissima con la
sinistra e con le cosiddette toghe rosse), Landolfi vedrà la sua
carriera affossata da quello che Maurelli definisce un
"fatterello di paese", e la sua vita stravolta dalla gogna
mediatica. Per l'autore il suo è un caso a dir poco emblematico
dell'intreccio incestuoso tra politica e magistratura, ma
soprattutto delle opacità della giustizia italiana, spesso
incapace di rimediare ai propri errori, e del fenomeno del
"pentitismo" di comodo, che riporta alla memoria la tragedia di
Enzo Tortora. L'autore, oltre a ricostruire la carriera politica
del protagonista (soffermandosi sulle battaglie anti camorra
combattute in Campania, sua terra d'origine, testimoniate sia
dal boss compagno di giochi giovanili di Landolfi, lo stragista
Augusto La Torre, ma anche dal giudice Raffaele Cantone che per
primo aveva affrontato e smantellato i terribili clan dei
Casalesi), torna sulle vicende del "processo beffa",
mostrandone, atti e fatti alla mano, tutte le incongruenze. "Il
mio processo era esploso, mediaticamente, nel 2007, poi era
andato spegnendosi, come se l'evidenza pubblica fosse
giustificata solo dalla proiezione esterna, schiacciato dal
processo Cosentino. Stranamente il mio è andato spegnendosi sui
giornali, nonostante le premesse iniziali. Anche quello è un
dato da guardare con sospetto, perché può diventare pericoloso,
perché quando la stampa esercita una funzione di controllo, e
non di scolo delle procure, avere un processo senza stampa non è
positivo. Perché possono accadere delle cose che nessuno
riporta. E a me sono accadute", spiega Landolfi nel libro. Una
vicenda, la sua, come sottolinea Barbano nella prefazione, in
cui "si possono riscontrare tutte le patologie del sistema
giudiziario italiano, ma di cui non si parla nel dibattito
pubblico".
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