(di Paolo Petroni)
E' l'anno e il mese delle elezioni
presidenziali negli Stati Uniti, ''Novembre'', come si intitola
questa commedia farsesca di David Mamet, al Teatro Argentina
sino al 16 marzo e poi in tournée. Le possibilità di rielezione
del Presidente in carica Charles Smith sono praticamente nulle
(''I dati di gradimento sembrano i valori del colesterolo di
Gandhi'') e non ci sono più soldi per la campagna, ma Smith non
ha alcuna intenzione di arrendersi. E' giunto a una simile
situazione, come gli viene ricordato, per aver distrutto il
paese durante il suo mandato e essersi comportato nei modi
peggiori. Il testo è del 2007, dieci anni prima del primo
mandato presidenziale di Trump, eppure oggi lo si finisce per
vedere come un'allusione preveggente e Luca Barbareschi, che
impersona Smith, si presenta in scena con una bella cravatta
rossa appunto trumpiana e accenna al suo avversario come uno
''che inciampa e cresce nei sondaggi'' con allusione Biden,
mostrandosi pronto a qualsiasi bassezza, ricatto, corruzione,
per trovare denari per un proprio rilancio. Il presidente è
angosciato e agitatissimo per la situazione, mentre si barcamena
tra le richieste casalinghe della moglie, l'ambasciatore
dell'Iran, i suoi che lo abbandonano, tranne il suo segretario
personale Brown, e il rappresentante degli allevatori di
tacchini, visto che siamo alla viglia del Giorno del
Ringraziamento, in cui tutta l'America arrostisce tacchini. La
trovata dei tacchini e del presidente che ogni anno ne grazia
pubblicamente e simbolicamente uno, in cambio di un contributo,
che in questo caso cercherà di far lievitare sino a cifre
impensabili, avvertendo che in caso contrario avvierà una
campagna che potrebbe mettere a terra gli allevatori, è una
trovata simbolica e divertente. Il problema è che su di essa non
si regge una scenetta più o meno lunga, ma tutta la piece e
tutto si allunga a una farsa che perde mordente. Del resto,
nonostante tutto sia un po' più che assurdo e tanto da non
apparir più comico, con i Servizi segreti in pausa pranzo e il
resto dello staff introvabile, mentre la persona che scrive i
suoi discorsi dandogli un minimo di credibilità è una donna
lesbica, Clarice Bernstein, che è in Cina, dove è andata a
adottare un bambino. Appena tornata e, nonostante sia
febbricitante, è messa al lavoro e in cambio chiede che il
Presidente, in nome di quella legge superiore che è l'amore, la
sposi con la sua compagna in diretta tv, cosa illegale per la
legge e non conveniente davanti all'elettorato.
Quella che ci ha sempre proposto Mamet, sin dall'inizio, dagli
anni '80 quando vinse un Pulitzer con "Glengarry Glen Ross", è
un'umanità di individui alla deriva e il suo iperrealismo, lo
fece vedere come un figlio di Tennessee Williams e Arthur
Miller, mentre più il suo lavoro procede e si arricchisce di
titoli, più appare evidente che sia andato verso il confine di
un quotidiano assurdo, esemplare, con echi semmai di Beckett e
soprattutto di Pinter. I questo lavoro, che pure conta oramai
circa vent'anni, invece è come su quella sua vena provocatoria
avesse voluto innestare un Neil Simon cinico, ma il risultato è
di un farsesco elementare, con un dialogo essenziale,
abbondantemente infarcito di turpiloquio, per peggio
caratterizzare protagonista e situazione, e nonostante
l'irrealtà del tutto e la superficialità del racconto (''Tutti
vogliono qualcosa e la vita è un dare e ricevere'') procede,
sino a quando precipita oltre ogni limite, con l'entrata nello
studio ovale di un capo indiano in costume e copricapo di penne
colorate che parla e si agita come nemmeno una macchietta della
peggio tv.
Non c'è più allora alcun divertimento e anche la satira sul
potere resta senza forza. Nonostante questo, l'impegno, lo
sforzo, la caratterizzazione con rari momenti d'umanità del
presidente di Barbareschi, che abbiamo visto negli anni in Mamet
di grande qualità e eversione, vengono giustamente alla fine
applauditi, assieme al Brown di Simone Colombari che cerca di
tenergli testa e all'interpretazione della Bernstein di Chiara
Noschese, che firma anche questa frenetica, agitata regia.
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