(ANSA) - NAPOLI, 25 APR - Al salame, al cotto, ai cicoli,
alla mortadella, con scarola: diversi contenuti per la pizza
fritta, un must della gastronomia classica partenopea, purché
sia 'oversize', assumendo le sembianze di un prodotto
ribattezzato dal pizzaiolo Giuseppe Vesi "Sessanta centimetri di
bontà". "L'importante al di là delle dimensioni - spiega lo
chef gourmet che la sta proponendo nel suo locale - è
l'utilizzazione di ingredienti di qualità come l'olio e le
farine macinate a pietra".
Le proposte partono dagli ingredienti base (ricotta di bufala
campana, pepe nero, fior di latte di Agerola, pomodoro San
Marzano dop dell'Agro Nocerino Sarnese) accompagnati, nelle
diverse versioni, da salame tipo Napoli oppure cicoli di maiale
o prosciutto cotto alta qualità; e, ancora, ripieno con ricotta
di bufala campana, provola di Agerola, mortadella classica
presidio Slow Food Bonfatti, pesto di pistacchio di Bronte Dop
Aroma Sicilia e, infine, ripieno con fior di latte di Agerola,
scarola, capperi, pinoli, olive nere. Come 'special', c'è anche
la pizza fritta alla lasagna nel locale di Via Luca Giordano
diretto da Francesco Colicchio (14 dipendenti, di cui 5
pizzaioli, capitanati da Giuseppe Vesi).
"Nei secoli ha sfamato generazioni di napoletani e non solo -
spiega Vesi - nel primo dopoguerra per qualche tempo, a causa
della carenza di legna da ardere nei forni, ha sostituito la
pizza rotonda e il suo rito, da allora fritta nell'olio si è
ritagliata il suo ruolo, preciso, speciale". Si chiama in tanti
modi la pizza fritta che Vesi ha reinterpretato nella sua
versione 'fuori misura', appunto oversize. "Sessanta centimetri
di bontà" il nome assegnato a questa 'magia' dell'arte bianca
realizzata con l'impasto firmato "pizza gourmet". "Molti i nomi
attribuiti negli anni alla pizza fritta, uno dei tanti è 'il
calzone', 'o cazone" in lingua napoletana" ricorda lo chef.
Divenne famosa a Napoli anche perché i pizzaioli avevano
inventato un pagamento rimandato di una settimana, che veniva
chiamato "ogge a otto", cioè oggi a otto. E la formula ne
decretò il successo: divenne anche una delle protagoniste di un
famoso episodio de "L'oro di Napoli" con Sophia Loren.
La pietanza sembra, però, vedere la luce qualche secolo
prima. È infatti il poeta Giovanni Battista del Tufo il primo a
parlare di "zeppolelelle", delizie di pasta lievitata croccanti
all'esterno e morbide all'interno, cosparse di miele. Siamo nel
1500. Tre secoli dopo, nel 1837, Ippolito Cavalcanti, cuoco e
scrittore, ne descrive la farcitura, annoverando tra gli
ingredienti baccalà, pesce azzurro e alici. Il rapporto con
questo manufatto è sempre ben saldo per i napoletani. Lo
ritroviamo in tempi recenti, soprattutto di domenica, quando
rappresenta un ottimo "aperitivo". (ANSA).